Treviso, la manovra sbagliata e i soccorsi inutili: così l'operaia è morta schiacciata dal macchinario

Anila Grishaj, ragazza di origini albanesi, aveva 26 anni. Il cordoglio dei colleghi: "Aveva sempre il sorriso sulle labbra"

Treviso, la manovra sbagliata e i soccorsi inutili: così l'operaia è morta schiacciata dal macchinario
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Una morte atroce, quella di Anila Grishaj, che ha devastato i colleghi di lavoro e i familiari, i quali non hanno ancora rilasciato alcuna dichiarazione dopo il terribile lutto che li ha colpiti.

La ragazza, impiegata nella "Bocon" di Pieve di Soligo (Treviso), azienda che si occupa della produzione e commercializzazione di surgelati, è rimasta incastrata in un macchinario usato per confezionare i prodotti, che ha causato lo schiacciamento delle vertebre cervicali. Una morte terribile, con la giovane che non ha avuto scampo: inutile, purtroppo, l'intervento del personale medico del Suem, che non ha potuto far nulla per salvarle la vita, limitandosi a constatarne il decesso. La procura della Repubblica di Treviso sta cercando di chiarire il motivo per cui non siano entrati in funzione, come previsto in casi di emergenza del genere, i sistemi di sicurezza e se siano rilevabili delle violazioni sul rispetto delle norme.

La 26enne Anila Grishaj, di origini albanesi, viveva da anni a Miane, piccolo comune della provincia di Treviso, insieme ai genitori, a un fratello e a una sorella. Diplomatasi presso l'istituto Economico-Turistico di Valdobbiadene, aveva di recente iniziato a lavorare presso la ditta alimentare dove era stata assunta inizialmente come operaia. La sua grande operosità e l'affidabilità l'avevano portata a guadagnarsi la promozione a vicedirettrice.

Lo scorso anno aveva posato per uno scatto utilizzato con l'obiettivo di promuovere l'azienda per cui lavorava sui principali social network. "Anila viene dall'Albania, un paese tutto da scoprire", si legge nella nota a margine della foto."Le piace fare shopping, adora mangiare e il suo prodotto preferito è la focaccia ripiena di peperoni melanzane e provola affumicata".

Affranti i colleghi della 26enne, che non riescono a darsi pace per una tragedia che si sarebbe potuta evitare. "Aveva sempre il sorriso sulle labbra ed era una gran lavoratrice", ricordano questi ultimi, che sono stati i primi ad accorrere in suo soccorso e a lanciare l'allarme.

"Si può morire così, solo se le sicurezze del macchinario sono state rimosse, alterate e ciò accade spesso", accusa il sindacato Fiom Cgil, "ecco perché si dovrebbe parlare di omicidio sul lavoro". "In questo caso un robot transpallet di movimentazione materiale ha colpito alla testa la lavoratrice", prosegue la nota,"questo è impossibile che accada senza aver manomesso le sicurezze. E se accade è perché quella è la prassi. Non una fatalità". "Chi conosce la vittima avvisi i famigliari di contattare subito un buon avvocato penalista", si legge in conclusione.

Le indagini sono ancora in corso, anche se si fa più concreta l'ipotesi che ad attivare la macchina confezionatrice possa essere stato un collega, ora indagato per omicidio colposo.

Probabilmente la 26enne, punto chiave su cui gli ispettori dello Spisal e gli investigatori della magistratura dovranno far luce, si trovava nel punto sbagliato al momento sbagliato, nella convinzione che l'impianto fosse disattivo. Le verifiche dovranno accertare inoltre se il macchinario e tutti gli strumenti di sicurezza fossero perfettamente funzionanti.

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