La famiglia di Liliana Resinovich ha presentato opposizione all’archiviazione del caso. La donna era scomparsa il 14 dicembre 2021, per poi essere ritrovata morta tre settimane più tardi nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. La procura si è sempre orientata sull’ipotesi del suicidio, ma ha anche aperto un fascicolo per sequestro di persona.
Nella ricostruzione degli inquirenti hanno pesato moltissimo le immagini delle telecamere di sorveglianza cittadine, che hanno ripreso parte del percorso di Lilly il giorno della scomparsa. La famiglia ha sempre chiesto di visionare le immagini, che sono state disponibili solo alla fine delle indagini. “Che fosse lei, adesso ho visto e sono sicuro che è lei. Però non quell’immagine vista in piazzale Gioberti, secondo me quella non è riconoscibile, mentre in via Damiano Chiesa sì”, ha commentato il fratello Sergio Resinovich in collegamento a “Chi l’ha visto?”, aggiungendo che per le immagini in piazzale Gioberti “come cammina, non mi sembra lei”.
Ma il giallo non si esaurisce su questi filmati. I reperti di indagine, più che sciogliere i dubbi, li alimentano, a partire dalla mancanza di impronte digitali sui sacchi neri che avvolgevano il corpo di Liliana e su una bottiglia di plastica che era nella borsa della donna.
Il perito Nicola Caprioli ha spiegato che nella bottiglia c’era “semplice acqua”, ma il dettaglio cozza col fatto che Sergio ha riferito che Liliana non aveva l’abitudine dei portare con sé l’acqua quando usciva. “È stata effettuata una ricerca di impronte papillari - ha aggiunto Caprioli alla trasmissione di Rai 3 - per vedere se si potevano rilevare delle impronte riferibili a Liliana o ad altre persone con esito negativo. Non solo non sono state rilevate impronte utili alla comparazione, ma non sono assolutamente presenti frammenti di natura papillare, cioè non ci sono contatti”.
C’è poi un fatto assolutamente misterioso, ovvero che “sul beccuccio non c’è il Dna di Liliana, è stato rilevato del Dna, che non è stato attribuito a nessuno”, come ha spiegato Caprioli. Una possibile spiegazione è stata suggerita dall’esperta Marina Baldi: “Ci sono tracce di Dna sul collo e sul lato esterno. Non ci sono tracce di Liliana. L’unica spiegazione è che la bottiglia non sia la sua”.
Impronte non sono presenti neppure sui sacchi neri: “Non ci sono neanche contatti minimali”, ha specificato Caprioli. Come può essere possibile, dato che Liliana non indossava quella mattina guanti di nessun tipo, come in effetti hanno rilevato le telecamere e i reperti rinvenuti sulla scena della morte? “Quello che fa effetto sono le assenze”, ha chiosato Baldi.
Gli altri misteri riguardano un’unica impronta sui sacchi neri, quella di un guanto in tessuto, e un cordino contaminato, che era sul collo di Lilly, legato con un nodo lasco. Baldi ha chiarito che quel cordino è “contaminato come accade a tutto ciò che viene a contatto con un corpo in decomposizione”. Il cordino infatti non è stato repertato separatamente dal corpo di Liliana. “Se fosse stato sfilato prima, forse avremmo avuto qualche allele in più su cui lavorare”, ha illustrato Baldi.
Sul cordino sono infatti state trovate tracce di Dna maschile, troppo poco per capire di chi si tratta se non per esclusione.
Per questo le tracce sono state confrontate con il materiale genetico del marito Sebastiano Visintin, del sedicente amante Claudio Sterpin e del vicino di casa Salvo, e l’esame ha dato in tutti e tre i casi esito negativo. “Io sarei del parere che bisognerebbe allargare un pochino il ventaglio di persone che erano intorno a Liliana, che potrebbero avere informazioni su quello che è successo”, ha concluso Baldi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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