Tre navi attraccate ieri al porto di Bari, cariche di grano, sono ancora una volta la dimostrazione che la crisi del made in Italy è lontana dall'essere superata. Trionfa l'importazione dai paesi extraeuropei dove, però, non esistono i controlli necessari ad assicurare la salubrità dei prodotti finiti (nel caso del grano un livello accettabile di micotossine, le sostante tossiche presenti nei cereali).
La Coldiretti, già un anno fa, aveva lanciato l'allarme: “Un pacco di pasta su tre è straniero come il 50 per cento del pane venduto in Italia”. A nulla sono valse le proteste nelle Regioni che basano la loro economia sulla produzione di grano (soprattutto Puglia e Sicilia). Ieri, di nuovo, un quintale e mezzo di grano straniero è stato scaricato nel capoluogo pugliese, pronto per essere distribuito in tutta Italia.
Contemporaneamente a Roma, durante la conferenza Stato-Regioni è stato approvato un decreto che fissa i criteri di ripartizione delle risorse del fondo di 10 milioni di euro a sostegno del comparto agroalimentare. Questo significherebbe un maggiore impegno, da parte del Governo, nel sostenere la produzione cerealicola nazionale. Ma c'è qualcosa che non torna. Suona come una beffa anche questo decreto se si pensa che a trecento chilometri di distanza si stava scaricando merce extracomunitaria.
Una tradizione, quella del grano, messa in ginocchio dalle logiche del mercato internazionale che hanno creato malumori tra i produttori italiani. La sola Puglia vanta circa 400mila ettari coltivati, con una media di circa 11milioni di quintali prodotti all’anno. Si dovrebbe, addirittura esportare e non importare. Senza pensare, poi, al grano considerato “di nicchia”, quello antico prodotto, soprattutto, in Sicilia.
I dati parlano chiaro, i prezzi del grano duro in Italia, nel 2016, sono crollati del 31 per cento rispetto allo scorso anno. I valori sono al di sotto dei costi di produzione e mettono a rischio il futuro del settore. In bilico ci sono oltre trecentomila aziende agricole, due milioni di ettari a rischio desertificazione, gli alti livelli qualitativi per i consumatori, garantiti dalla produzione made in Italy. L'Italia si uniforma a parametri di qualità molto alti. I produttori nazionali, però, non sono tutelati dallo stato. Non conviene più produrre se i prezzi non sono concorrenziali con quelli dei paesi extracomunitari, la cui merce invade regolarmente le coste italiane. Ad alimentare il mercato sono i consumatori. L'80 per cento delle vendite lo fa il prezzo. Ma i consumatori non sanno però che sono le prime vittime del sistema.
Insomma, questa guerra del grano è ancora in corso e chissà ancora per quanto andrà avanti. “L'aiuto di 100 euro ad ettaro per produttore allo scopo di aumentare del 20 per cento le superfici coltivate coinvolte nei contratti di filiera, è un primo sforzo verso il rilancio competitivo dell'offerta di grano nazionale” ha dichiarato alla stampa Dino Scanavino, il presidente nazionale della Cia-Agricoltori italiani, concludendo:”La sfida futura del comparto passa attraverso una progettazione comune e condivisa della filiera e le imprese agricole sono pronte a fare la loro parte.”
Dunque, per
poter affrontare il mercato globale senza regole globali, i produttori dovrebbero unirsi in consorzi. Come si dice, l'unione fa la forza. Ma intanto il grando d'incerta provenienza e qualità continua a sbarcare indisturbato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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