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Centinaia di pensionati fregati. La Cgil condannata a pagare

Nel 2015 la Camusso intervenne in Senato per professare l'estraneità ai fatti del sindacato, ma il giudice ha deciso di condannare l'Inca-Cgil italiana al risarcimento di una delle vittime dell'ex dirigente Giacchetta. Pronte altre cause

Centinaia di pensionati fregati. La Cgil condannata a pagare

Si torna a parlare del caso che colpì la Inca-Cgil Svizzera, conclusosi nel 2017 con la condanna a 7 anni e 3 mesi di reclusione dell'ex direttore del patronato elvetico Antonio Giacchetta, accusato di truffa per mestiere, appropriazione indebita e ripetuta falsità in documenti: oltre 300 i pensionati italiani truffati.

Oggi arriva la notizia che il tribunale civile di Roma ha deciso di condannare l'Inca (patronato della Cgil) a risarcire una delle vittime. Si parla di 237.892,69 euro a cui andranno aggiunti 15.300 euro di spese legali e gli interessi a partire dal 2010. Un durissimo colpo sia per Inca che per la stessa Cgil, che nel 2015 tentò di sostenere la propria estraneità ai fatti. Intervenuta in Senato, Susanna Camusso dichiarò infatti che la Cgil non poteva essere ritenuta responsabile di quanto commesso da Giacchetta.

Nato in italia ma cresciuto a Zurigo, il 57enne cominciò ad approfittare della propria posizione nel lontano 2001, quando era a capo del patronato Inca-Cgil svizzero. Per anni, fino al 2009, l'uomo gestì e dispose del denaro affidatogli dai suoi clienti connazionali, una cifra che si aggirava intorno ai 34 milioni di franchi.

Impossessatosi dei contributi versati dalle ignare vittime, Antonio Giacchetta trasferì parecchi soldi in conti privati. Una parte del bottino fu speso per pagare le pensioni di alcuni dei suoi clienti, nel tentatativo di non destare sospetti, ma la stragrande maggioranza del denaro fu impiegata per acquistare oggetti di lusso come orologi, saldare debiti personali, pagare prostitute e mantere economicamente cinque donne.

Tutto finì nel 2009, con l'arresto dell'allora dirigente. "Ero ubriacato dal denaro e ho perso il controllo", aveva spiegato Giacchetta al termine del processo, come ricordato da "Libero".

A lungo si è dibattuto su chi dovesse occuparsi di restituire il denaro sottratto alle vittime. Enorme il danno subito dalle persone truffate da Giacchetta, alcune delle quali hanno addirittura dovuto vendere la propria casa. Dichiarata fallita, l'Inca-Cgil Svizzera fu chiusa nel 2013, per poi essere nuovamente aperta l'anno dopo. Da parte sua, invece, la Cgil ha continuato a rivendicare la propria estraneità ai fatti.

Provvidenziale per sbloccare la situazione la sentenza emessa dal giudice Alfredo Matteo Sacco, che si è espresso in merito al caso di Cosimo Covello, una delle vittime di Giacchetta. Secondo il giudice "l’Inca-Cgil Svizzera appariva, e soprattutto era, una mera articolazione operativa, priva di autonomia funzionale e autosufficienza finanziaria" della Cgil, che quindi, come riferisce "Libero", deve "rispondere direttamente e patrimonialmente dell’agire illecito dell’Inca-Cgil Svizzera".

"Ci auguriamo che la Cgil, invece che proporre appello, si sieda ad un tavolo con l’associazione che rappresenta quegli italiani, i quali si erano fidati del patronato in Svizzera e si sono sentiti prima traditi e poi

abbandonati", ha commentato l'avvocato Sandro Campilongo.

Questa sentenza potrebbe essere un vero e proprio punto di svolta per tutte le vittime di Giacchetta. Molte altre cause starebbero infatti per essere avviate.

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