Potrebbe sembrare una semplice questione regolamentare, magari per certi versi perfino un po' noiosa. Invece, lo scontro che si sta consumando in queste ore sull'eventualità di far votare i grandi elettori che dovessero risultare «positivi» al Covid-19 è il primo, vero terreno di battaglia politica della sfida per il Colle. D'altra parte - ormai a sei giorni dalla convocazione del Parlamento in seduta comune, con la prima chiama prevista per lunedì prossimo alle ore 15 - è nelle cose che lo scontro entri nel vivo.
Il Covid - e la possibilità di far votare eventuali positivi - da tema sanitario è infatti diventato una vera e propria questione politica. Perché nel voto per il Quirinale non sono previste assenze per malattia, quindi il quorum resterà invariato - 673 elettori nei primi tre scrutini, 505 dal quarto in poi - a prescindere da quanti dei 1.009 grandi elettori si presenteranno effettivamente a votare. Di qui, il braccio di ferro tra centrodestra e centrosinistra. Il primo chiede con forza di permettere il voto dei «positivi», il secondo invece nicchia. Il convitato di pietra del dibattito in corso, d'altra parte, ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Che se dalla quarta votazione vuole provare ad avvicinarsi alla soglia «magica» di 505 preferenze ha bisogno - almeno - di tutti i voti potenziali del centrodestra. Ragione per cui la questione, che fino a una decina di giorni fa appassionava anche autorevoli esponenti del Pd e giuristi d'area, pare ora passata in secondo piano.
Ieri sul punto si sono espressi diversi costituzionalisti: da Cesare Mirabelli e Mario Rosario Morelli, presidenti emeriti della Corte Costituzionale, fino a Giovanni Guzzetta, Salvatore Curreri e Francesco Clementi, docenti universitari di diritto. Tutti d'accordo sul fatto che sarebbe opportuno far votare anche i positivi. Ma la decisione finale è nelle mani della conferenza dei capigruppo della Camera, ieri slittata più volte a causa dei lavori dell'Aula di Montecitorio. Alla fine si è tenuta a tarda sera. E con Roberto Fico che ha continuato a restare su una linea di grande prudenza. «Si valuta la possibilità di far votare i positivi, ma c'è grande perplessità su modificare prassi ormai consolidate», spiegano dai vertici di Montecitorio. Nella riunione, però, il presidente della Camera sarebbe stato ben più tranchant, spiegando che la circolare per l'elezione del capo dello Stato non è applicabile all'emergenza sanitaria. La linea sposata da Pd e M5s. I positivi al Covid, insomma, non potranno votare.
Su un fronte diametralmente opposto è il centrodestra. Giovedì scorso, infatti, la conferenza dei capigruppo si arenò sull'impossibilità di regolamentare lo spostamento di chi è positivo. Le due soluzioni proposte erano creargli un percorso di sicurezza per poter accedere al voto a Montecitorio oppure il voto a domicilio. Per entrambe, però, era necessario che il grande elettore fosse fisicamente a Roma: far votare un positivo a Palermo piuttosto che a Milano o Cagliari, avrebbe reso impossibile uno scrutinio simultaneo. E spostare un positivo non era considerato possibile. Il quadro, però, ora è cambiato. Grazie a una circolare del ministero della Salute di giovedì scorso che regola lo «spostamento dei casi Covid-19» anche tra regioni diverse. Ad oggi, dunque, è possibile per un grande elettore positivo cambiare domicilio e recarsi in sicurezza a Roma, precondizione per poter votare garantendo segretezza e simultaneità. A quel punto, ragiona il presidente di Noi con l'Italia Maurizio Lupi, «non dobbiamo inventarci nulla» e «limitarci ad applicare quello che già la legge elettorale prevede per i cittadini», esattamente ciò che si è già verificato questo fine settimana nelle suppletive della Camera che si sono tenute al collegio Roma 1. La legge prevede infatti il cosiddetto «seggio ospedaliero» a domicilio.
Ed è questo che i capigruppo del centrodestra chiedono di applicare anche all'elezione presidenziale.Richiesta, così sembra a tarda sera, destinata ad essere respinta. Decisione che già da questa mattina rischia di diventare terreno di scontro politico e pesare non poco sull'eventuale corsa al Colle di Berlusconi.
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