Da clandestino a killer: ​"Così ho ucciso Ashley"

Immigrato irregolare in Italia, viveva di espedienti. Incastrato da video e Dna

Da clandestino a killer: ​"Così ho ucciso Ashley"

Non è un genio (neppure del male) questo Diaw Cheik Tidianee. Il 28enne senegalese, in carcere con l’accusa di aver ucciso Ashley Olsen, sembra aver fatto di tutto per farsi beccare. Si è fatto immortale dalle telecamere mentre era con la 35enne americana trovata poi morta in casa; ha lasciato tracce ovunque nell’appartamento teatro del delitto; è fuggito dopo l’omicidio portandosi via il cellulare della vittima; ha sostituito la scheda Sim di Ashley con quella sua, usando poi il telefonino. Una serie fatale di errori che hanno consentito alla polizia di individuarlo in tempi rapidi. Assassini così maldestri fanno la gioia di ogni investigatore. L’altra notte infatti gli agenti della Mobile di Firenze sono andati a colpo sicuro in casa del fratello del presunto killer. Diaw era lì. I segnali che venivano dal «suo» cellulare (in realtà quello rubato ad Ashley) erano inconfondibili. Il nordafricano non ha opposto resistenza. E poi, in questura, ha confessato: «Sì, sono stato io. Ma non volevo ucciderla. È stato un incidente...». Non è un distinguo da poco: in ballo c’è l’ergastolo (nel caso di omicidio volontario) o pochi anni di carcere (in caso di omicidio colposo). Ma se si fosse trattato davvero di un incidente, perché Diaw non ha chiamato i soccorsi? Perché si è invece comportato come un perfetto killer? Certo, un assassino assai imbranato. Ma pur sempre un killer. Va detto che Diaw aveva tutti i motivi per tenersi lontano dalle forze dell’ordine: il suo status di irregolare in Italia e qualche piccolo precedente per spaccio, evidentemente non lo facevano stare tranquillo. Ma oggi, purtroppo per lui, la sua situazione è diventata drammatica. L’accusa nei suoi confronti è di omicidio aggravato dalla crudeltà.

Non è chiaro ancora se Ashley e Diaw si conoscessero da tempo. Di sicuro almeno una delle amiche della vittima aveva «vivacemente» sconsigliato Ashley di incontrasi con Diaw quella maledetta notte di venerdì scorso. La «fama» di Diaw nel quartiere San Lorenzo non era delle più rassicuranti. Una figura, quella del 28enne senegalese, decisamente borderline: un po’ pusher, un po’ buttafuori, un po’ playboy. Non un delinquente, ma neppure uno stinco di santo. Ma Ashley non ascolta i consigli dell’amica. Uscita dal bar «Montecarla» dove aveva bevuto il bicchiere della staffa, Ashley incontra Diaw (forse contattato con un messaggio whatsapp). I due si avviano insieme verso casa della giovane (scena ripresa dalle telecamere di sicurezza), salgono nell’appartamento, hanno un rapporto sessuale, consumano alcol e cocaina. Entrambi non sono più lucidi. Poi accade qualcosa. Un litigio. «Io l’ho spinta - ha dichiarato a verbale il senegalese - lei è caduta all’indietro, è sbattuta con la testa ed è morta». «E quei segni di strangolamento sul collo?», chiedono gli inquirenti? «È perché l’ho trascinata sul letto, tentando di rianimarla», ha risposto lui. Tesi altamente improbabile. La ricostruzione degli investigatori è ben diversa: «Dopo averle procurato due fratture al cranio, che da sole sarebbero bastate ad ammazzarla, l'ha finita strangolandola con un laccio o un cavo». A tradire Diaw ci sono le tracce di dna trovate su un profilattico e una cicca di sigaretta gettati nel water dopo il rapporto sessuale che i medici legali definiscono consensuale. Giallo chiuso, dunque. Mentre a rimanere aperte sono le speculazioni del day after. Come quella dell’ambasciatore Usa in Italia, John Phillips: «In Italia abbiamo 30mila studenti americani, la tragedia di Ashley è una lezione per tutti: bisogna stare attenti quando si esce la sera e con persone che non si conoscono». Il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, la butta addirittura in politica: «L’assassino di Ashley è un immigrato clandestino.

L’omicidio è stato scoperto sabato pomeriggio. Come non ricordare che proprio nelle ore successive Renzi e Boschi, al contrario di quanto fatto fino ad allora, indicavano come non più urgente l’abrogazione del reato di ingresso clandestino in Italia?»

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