Coraggio e discontinuità

Se c'è un elemento che per ora manca nell'azione del governo di Giorgia Meloni è un intervento, più o meno profondo, sul fisco.

Coraggio e discontinuità

Se c'è un elemento che per ora manca nell'azione del governo di Giorgia Meloni è un intervento, più o meno profondo, sul fisco. L'esecutivo di centro-destra, pardon di destra-centro, è stato geloso della propria identità su temi come la sicurezza, l'immigrazione, ma sul tema delle tasse, per ora, siamo ancora alle promesse. Eppure quest'anno, a guardare i numeri forniti dalla Cgia di Mestre, la pressione fiscale nel nostro Paese ha raggiunto il suo massimo storico. Un dato che dovrebbe fare riflettere una coalizione inventata trent'anni fa da Silvio Berlusconi proprio sulla battaglia contro l'eccessiva tassazione. Come pure il taglio delle imposte è stato la bandiera di due mostri sacri del conservatorismo mondiale, cioè Margareth Thatcher e Ronald Reagan.

Quindi, dal punto di vista simbolico, per marcare la tanto citata discontinuità, si sente per ora l'assenza di un'iniziativa del genere. Le decisioni prese dal governo Meloni sull'economia sono, infatti, in linea con quelle di Draghi, solo che quest'ultimo era a capo - questa è la differenza di non poco conto - di un esecutivo tecnico, non politico. Il fisco è al momento, per il governo di destra-centro, un argomento quasi accademico: se ne parla, se ne discute, ma alla data odierna non è stata presa nessuna decisione. E anche nelle ipotesi che circolano sui possibili interventi, l'approccio è estremamente timido. Ad esempio, si parla della conferma del taglio del cuneo fiscale del 2%, cioè nulla di più di quello che aveva deciso Draghi come misura emergenziale, che è ben poca cosa rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale, al punto che Confindustria se ne lamenta. Come pure la cancellazione delle cartelle fiscali riguarderebbe quelle fino a mille euro, mentre ci sarebbe solo uno sconto per quelle fino a 3mila: un'operazione minimale. Per non parlare poi della flat tax che dovrebbe intervenire solo per i lavoratori autonomi con reddito basso.

Naturalmente la motivazione addotta per spiegare tanta prudenza è l'assenza di soldi. Dato incontestabile. Ma è anche vero che l'intervento in materia fiscale è l'espressione di una filosofia che non si basa su ragionamenti ragionieristici sui numeri. Nell'idea liberale la leva fiscale serve a mettere in circolo risorse per aumentare consumi, quindi offerta e occupazione. È un impulso allo sviluppo. L'ormai arcinota curva di Laffer che fece la fortuna di Reagan si basava su questa scommessa.

Ora, in questa congiuntura, nessuno può immaginare grandi rivoluzioni, ma un intervento, appunto, simbolico a inizio mandato avrebbe sicuramente dato un'impronta diversa rispetto al governo precedente.

Ma forse la vera differenza tra una coalizione di centro-destra e destra-centro è proprio qui: nella prima, di impostazione liberale, i temi economici sono preminenti, ne rappresentano l'identità; nella seconda, invece, si punta su temi più cari alla destra - quelli ispirati alla sicurezza, ad un pizzico di sciovinismo che ne rispecchiano il profilo - perché, in fondo, subisce il richiamo dell'intervento pubblico, dell'economia sociale.

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