Ma per il "Corriere" sono colpevoli

Per una decina di anni la più grande e prestigiosa azienda pubblica italiana, l'Eni, è stata tenuta sotto scacco dalla Procura della Repubblica di Milano

Ma per il "Corriere" sono colpevoli

Per una decina di anni la più grande e prestigiosa azienda pubblica italiana, l'Eni, è stata tenuta sotto scacco dalla Procura della Repubblica di Milano con una inchiesta su una fantomatica tangente di oltre un miliardo di euro al governo nigeriano, che ha coinvolto anche gli ultimi due amministratori delegati, Paolo Scaroni e Claudio Descalzi, per i quali il sostituto procuratore Fabio De Pasquale aveva chiesto otto e dieci anni di carcere. Ieri la sentenza: tutti assolti «perché il fatto non sussiste». Ai due manager è andata meglio di un loro predecessore, il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari che, finito nell'estate del '93 in piena Tangentopoli nelle mani dello stesso De Pasquale, si tolse la vita in carcere al rifiuto del magistrato di firmare la sua scarcerazione.

Oggi giustizia è fatta ma, al di là del calvario degli imputati, il danno al sistema Paese, di immagine e di sostanza, è stato enorme e ovviamente resterà impunito. Eppure era evidente fin dall'inizio che questa inchiesta si basava su un fantasioso teorema, per di più inquinato da rivelazioni e ritrattazioni di loschi faccendieri e noti millantatori, di fronte alle quali un magistrato avrebbe dovuto ammettere l'errore e fermare le macchine. Invece niente, De Pasquale è andato avanti ingaggiando una sfida personale, ben sostenuta dal circo mediatico giudiziario raccontato da Luca Palamara nel suo libro intervista. Al punto che ancora ieri, vigilia di sentenza, addirittura il Corriere della Sera ha pubblicato una articolessa della sua firma giudiziaria, Luigi Ferrarella, per mettere le mani avanti dopo anni passati a fare da cassa di risonanza alle strampalate tesi dell'accusa. Se ci sarà una assoluzione è il senso dell'intervento sarà perché «la struttura della norma e lo stratificarsi della giurisprudenza hanno molto alzato l'asticella delle prove richieste». Come dire, essere assolti non significa non essere colpevoli, riedizione del «un innocente è un colpevole che l'ha fatta franca», pronunciato da Piercamillo Davigo ai microfoni di Bruno Vespa.

Che il Corriere della Sera si erga a giudice ed emetta una condanna, nella sua ambiguità perpetua, nei

confronti della prima azienda italiana e dei suoi manager per salvare dal fallimento un magistrato amico «che ha profuso un enorme sforzo» non è una bella notizia, non soltanto per noi garantisti ma per tutta l'informazione.

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