Così si allunga l'agonia Pd-M5s

Meno di mezzo punto percentuale (0,4 per cento) ed ecco che il centrodestra si macera sin troppo nella sconfitta, mentre il centrosinistra si autoincensa nella vittoria

Così si allunga l'agonia Pd-M5s
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Meno di mezzo punto percentuale (0,4 per cento) ed ecco che il centrodestra si macera sin troppo nella sconfitta, come la sinistra storica, mentre il centrosinistra si autoincensa nella vittoria, come la destra delle scorse Politiche. Tutte le analisi si sono già soffermate sulla debolezza del candidato perdente e sull'accidentalità della candidata vincente, e così pure le coalizioni si sono espresse con giudizi ovviamente opposti sul peso che il voto di una Regione possa avere sul governo: Regione che, con rispetto parlando, è la Sardegna e non altre. Resta da chiedersi se il rammarico per l'esito elettorale non sia sparpagliato anche a sinistra, o, comunque, non sia condiviso anche da quella prevalenza degli analisti o politologi che da tempo giudicano come una verità scientifica che l'asse Pd-Cinque Stelle non abbia un futuro: su questo c'è da credere che non abbiano cambiato idea.

Resta da chiedersi, pure, se a sinistra il breve ristoro elettorale non abbia reso soltanto meno inclinato il piano (o il campo) in fondo al quale il duo Conte-Schlein sia comunque destinato a schiantarsi: il nome Conte compare prima di Schlein, in questo duo, perché la stampa già ieri scriveva di vittoria essenzialmente sua, di Conte.

È pur vero che a consolare il centrodestra ci sono i numeri: non è faziosità rilevare che sedici mesi fa (alle Politiche) le forze guidate da Giorgia Meloni avevano preso il 40 per cento e ora hanno il 48,8; è pure normale rilevare che il centrosinistra del «campo largo» aveva preso il 48,8 e ora, in Sardegna, ha paradossalmente vinto col 42,6. Se guardiamo alle Regionali di cinque anni fa, poi, Fratelli d'Italia prese il 4,7 e ora ha il 13,6 per cento; il Partito Democratico ha preso il 13,8 ma è partito dal 13,5 del 2019. Proseguire coi numeri riporterebbe a rilevare che il candidato di centrodestra è stato punito soprattutto a Cagliari (dove era stato sindaco) ma non sono i numeri a interessare, ora. Interessa che la sconfitta auto-costruita del centrodestra, contrapposta a una vittoria da neofiti del centrosinistra, per Giorgia Meloni potrebbe addirittura rivelarsi un affare, perché manterrebbe in vita più a lungo una formula di opposizione che non potrà mai batterla. Un accanimento terapeutico, diciamo così.

La neo presidente Alessandra Todde si è già dimostrata una caricatura dei due segretari che l'avevano candidata: a suo dire «l'alleanza tra M5S e Pd è unica strada percorribile» mentre in altre realtà occorre «creare un progetto solido»; da macchietta woke, ha ringraziato «tutte le donne della mia squadra» e si è detta orgogliosa che a governare la Sardegna sarà «la prima donna». Sarà sicuramente una primadonna, visto che andrà «anche in Abruzzo a fare campagna elettorale» come se credesse sul serio d'esser stata lei a fare la differenza. Ma ha anche detto che «la Sardegna ha risposto ai manganelli con le matite» e che la sua giunta sarà «di grande competenza», come se potesse dire che sarà di grande incompetenza.

Più seriamente, Alessandra Todde appare come un Frankenstein tra Elly Schlein, che non ha mai governato, e Giuseppe Conte che drammaticamente l'ha fatto. Il bagaglio politico di entrambi sembra ricalcare un saggio di Luca Ricolfi di un paio d'anni fa, laddove il sociologo sin dalla copertina spiegava «come le idee di sinistra sono migrate a destra», e come destra e sinistra si fossero scambiate la base sociale, coi più poveri e gli operai che votano a destra e i più abbienti che votano a sinistra. L'asse morituro tra Conte e Schlein in effetti resta quello che privilegia l'inclusione di quel genere di irregolari che schiaccia al ribasso i salari popolari e che lascia percepire insicurezza nelle città, inflazionando il già popolato sistema di assistenza e, a forza di includere, blocca l'ascensore sociale. L'asse Conte-Schlein resta quello che in nome del politicamente corretto e della dittatura delle minoranze ha reso «offensiva» la libertà di pensiero e persino il concetto di «merito», connaturato alle istituzioni scolastiche e all'articolo 34 della Costituzione. L'asse Conte-Schlein resta quello che chiama «diritti» anche le più legittime aspirazioni personali: ma lo fa ingenerando risentimento verso lo Stato che non li conceda subito, e ciò diversamente da come accadde in tutte le battaglie civili che impegnarono segmenti crescenti della società sino a ottenere, appunto, quelli che noi tutti oggi chiamiamo diritti anche se i partiti a suo tempo non volevano concederli.

L'asse Conte-Schlein resta un'assicurazione sulla vita del governo, ma anche sulla morte di una sinistra riformista che, in mezza Europa, ha già preso

a diffidare del politicamente corretto, dell'ostilità verso lo Stato, di un'inclusività che punisce i nativi, dei diritti civili che hanno sostituito i diritti sociali. Giorgia Meloni se la tenga stretta, questa sinistra.

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