È paradossale, ma oggi ognuno ravvisa con meraviglia la nostra dipendenza energetica dalla Russia. Eppure quasi tutti i leader, negli ultimi vent'anni, hanno ricoperto incarichi ministeriali, e alcuni anche quello apicale. Ma ora chiedono a Draghi, fino al febbraio dello scorso anno estraneo al ceto politico, di intervenire su una situazione compromessa da anni, se non da decenni. O, peggio, invitano a levare le sanzioni contro Putin, con una volgare e ignobile calata di brache, non nuova però nella scarsamente eroica storia della nostra politica estera.
Almeno si potrebbe sperare che, una volta ravvedutasi di fronte alla più grave crisi energetica dai tempi della Seconda guerra mondiale, la classe politica abbia compreso la lezione, e capito che la cultura del «no», oppure quella ancora più ipocrita del «sì, ma non nel mio giardino», sia stata abbandonata. E, invece, ci ritroviamo col caso del rigassificatore di Piombino, a cui sono contrarie le principali forze politiche locali e, di conseguenza, le nazionali: il Pd, ora alleato con i rossoverdi, la Lega e Fratelli d'Italia.
Il caso del partito di Meloni è il più clamoroso: perché il sindaco di Piombino, a capo delle proteste locali, viene da lì, perché probabilmente esprimerà il presidente del Consiglio e, dulcis in fundo, è l'unico che non sia mai stato al governo tra quelli in lizza. Eppure ripercorre le stesse orme fallimentari degli altri, complice anche un malinteso «ecologismo di destra», che l'ha portato anche ad opporsi all'inceneritore per Roma.
Come spiegare tutto questo? La motivazione è soprattutto elettorale: ormai ogni grande opera crea proteste, alcune legittimamente preoccupate dai danni ambientali, altre meno. In epoca di elettorato fluttuante, dove si può crollare dal 30% al 10% in un batter d'occhio, è prudente non creare troppo malcontento. Oppure, si utilizzano temi ecologici come pretesto per delegittimare i governi in carica: caso da manuale il referendum contro le trivellazioni dell'aprile 2016. Mezzo Pd, nonostante il premier fosse Renzi, la sinistra ambientalista, ma anche Meloni e Salvini, votarono per fare cessare le trivelle. Il referendum non raggiunse il quorum, ma ciò non ha impedito di bloccare la piattaforma Ombrina mare nell'Adriatico, cosa per cui l'Italia è stata multata per 190 milioni di euro. Che ora sarebbe giusto restituissero i «No Triv».
Governare è decidere, scegliere e scontentare. E anche mobilitare la forza pubblica, se necessario, nel rispetto ovviamente dei diritti.
Per tenere mansuete alcune decine di migliaia di elettori oggi, si destina il Paese a una schiavitù secolare. Di questo tutti dovrebbero essere preoccupati, ma ancora più coloro che si proclamano «sovranisti» e «patrioti».
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