La stagione della caccia al milanese è ufficialmente aperta. Nell'era dell'ipersensibilità nei confronti di qualsiasi minoranza, religiosa, sessuale, etnica, animale, storica e financo alimentare, l'unico razzismo socialmente accettato è quello nei confronti dei lombardi. E da quando sulla regione si è abbattuto con violenza inaudita il Covid, la situazione è peggiorata ulteriormente: il tiro alla Lombardia è aumentato in modo esponenziale e quotidiano. Senza nessuna pietà. Prima l'assalto frontale ai suoi vertici politici, mentre a Bergamo sfilavano ancora le bare nei camion dell'esercito, poi lo stigma dell'untore appiccicato sulla fronte di tutti i suoi abitanti e adesso il mostro sempreverde della corruzione. Con i fantasmi di Mario Chiesa e del Pio Albergo Trivulzio pronti a vaticinare un'imminente recrudescenza di Tangentopoli.
Non c'è niente da fare: i gazzettieri delle procure quando sentono tintinnare le manette scodinzolano di gioia. Così, ieri, Il Fatto quotidiano ha titolato con incontenibile soddisfazione: «Ecco come si ruba nella Capitale morale». (Immaginatevi che cosa sarebbe successo se avessimo titolato, chessò, «Ecco come si ruba in Africa», probabilmente avrebbero mandato i caschi blu e gli osservatori dell'Onu in redazione). A corredo un commento, malamente accorato, sulla «Mala Milano che non finisce mai» e «chissà quando si potrà recuperare il prestigio perso». Come se a Milano si rubasse in un modo diverso rispetto a Roma, come se un reato fosse più grave se commesso in Lombardia piuttosto che nel Lazio. Un ladro è un ladro, ovunque eserciti la propria «professione».
Il giornale si riferisce alla maxi retata sulle gare d'appalto all'Atm che ha portato all'arresto di 13 persone. Episodio vergognoso ed esecrabile, certo, ma non si capisce per quale motivo debba diventare subito il paradigma, il modus operandi, di una città e di una regione intera. L'attacco al sistema Milano cade però proprio nel giorno sbagliato. Perché quando il titolone, fresco di stampa, finisce nelle edicole la notizia si è già ribaltata.
Ieri mattina infatti sono stati arrestati sei dipendenti dell'Ufficio Condoni di Roma che approvavano pratiche in cambio di tangenti. Le solite mele marce? Non proprio, perché, stando all'ordinanza, quella dell'ufficio condoni della Capitale «è una situazione con gravi criticità: per oltre 28mila pratiche l'iter istruttorio risulta bloccato per varie ragioni, 30mila documenti sono fuori posto e non inseriti nei relativi fascicoli, impedendo cosi l'accesso agli atti o la definizione dell'istruttoria, rilevando la mancata riscossione da parte dell'ufficio condono di oneri quantificati in circa 56 milioni di euro».
Toh, verrebbe proprio da apportare una piccola correzione al sopraccitato
titolo: «Ecco come si ruba nella Capitale grillina». Il problema è che così si ruba in Italia. Tutta. Da Trieste in giù e pure in su. Compresa la Roma pentastellata, sulla moralità della quale preferiamo sospendere il giudizio.
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