Le faide sono inutili Ritroviamo l'unità per i nostri elettori

L'appello: rimettiamoci in sintonia con la società

Le faide sono inutili Ritroviamo l'unità per i nostri elettori

Gentile Direttore,

il dibattito in corso sul futuro di Forza Italia è certamente utile, ma non è dividendo la lavagna azzurra tra buoni e cattivi, o procedendo per slanci solitari, o esibendo il numero dei supporter che si esce dal tunnel. Dobbiamo metterci tutti in discussione? Perfetto! Nessuno di noi è senza peccato e ha il diritto di scagliare la prima scheda, ma per cortesia non cadiamo nel teatrino dell'assurdo in cui le poltrone occupate diventano un sopruso e si mettono in palio solo quelle altrui. Scriviamo le nuove regole e rendiamole tutte contendibili. Punto. Non è con la parata dei propri ego che si ritrovano gli elettori: diamoci invece un compito comune, quello di coniugare le legittime ambizioni personali di ciascuno aprendoci però alla ricerca di chi ci può sostituire.

Rimbocchiamoci dunque le maniche e confrontiamoci: tutti gli aspiranti coordinatori nazionali si sono trovati d'accordo sul fatto che in Forza Italia non c'è alcuna eredità politica da spartirsi, visto che il leader fortunatamente lo abbiamo e si chiama Silvio Berlusconi. Così come nessuno pensa che la nostra collocazione sia fuori dal centrodestra. Chiarito questo, sarà più semplice scrivere le regole di un percorso di rinnovamento che Berlusconi ha avviato in prima persona e che va considerato irreversibile. Consapevoli però che le regole sono importanti, ma non sono formule magiche che fanno moltiplicare i voti, e che il messaggio da fare arrivare ai cittadini deve guardare soprattutto alla sostanza. Ovvero alla situazione del Paese. È questa la vera sfida: rimetterci in piena sintonia con società, imprese e mondo del lavoro per fare ritrovare ai cittadini la fiducia e riportare l'Italia sulla via della crescita, mettendo al centro la persona. Se il confronto sarà su questo, avremo imboccato la direzione giusta. Se invece daremo l'impressione di girare tutti intorno al nostro ombelico avremo perso in partenza. E non possiamo permettercelo: prima di tutto perché il centrodestra, ora più di sempre, è nella testa e nel cuore degli elettori l'unica alleanza possibile per fare ripartire il Paese. C'è quindi da proseguire nel solco già tracciato, trasformando la nostra proposta, diciamo così, da analogica a digitale, adeguandola ai ritmi sempre più frenetici della politica. In secondo luogo perché Salvini, lasciando chiudere la finestra elettorale di settembre, ha scelto di fuggire dalle responsabilità e dalla volontà espressa dagli elettori - riportare il centrodestra al governo - scegliendo di proseguire l'alleanza innaturale con i 5 Stelle. Una scelta sbagliata ma che dà a noi più tempo per riorganizzarci. Federare forze distinte ma non distanti e allargare il consenso: questa è la strada, nella consapevolezza che il populismo non è una bestemmia, ma un dato di realtà: basta solo declinarlo in positivo (popolare è un termine migliore) e indirizzare la protesta legittima dei ceti medi impoveriti verso una proposta nuova, pragmatica, convincente e soprattutto condivisa. Se, dunque, affronteremo questa fase di necessario rinnovamento senza faide inutili, potremo ritrovare il baricentro perduto. Un centrodestra vincente è impossibile se si riduce a una somma di sovranismi: senza Fi il centrodestra, infatti, sarebbe solo una triste anatra zoppa. Giovedì saremo al tavolo delle regole, e sarà un passo importante. Sono però convinta che rinnovamento non significhi consumare vendette private o, peggio ancora, punire chi, in questa traversata nel deserto, è rimasto fedele alla causa. Sarebbe paradossale e ingiusto. Rinnovamento non può nemmeno significare il suicidio collettivo di un'intera classe dirigente, a tutti i livelli. I nostri amministratori locali chiedono di pesare di più: lo devono ottenere e dev'essere il punto di partenza.

Un'ultima annotazione: io sono da sempre per le primarie, mi va benissimo una stagione di democrazia che contemperi congressi e poi, appunto, primarie: aperte o chiuse, se ne deve discutere (senza sederci al tavolo volendo imporre soluzioni precostituite), basta regolarle bene. E siccome tutti ci riconosciamo nello stesso leader, è evidente che la sua volontà non può essere elusa.

Senza Berlusconi, quale consenso avrebbe ora Forza Italia? Il presidente è l'unico ad averla già fatta la rivoluzione, ed è l'unico, tra noi, che potrebbe fondare un altro partito e dare a tutti il benservito. Non l'ha fatto, generosamente, aprendosi al rinnovamento.

Questa è la considerazione ineludibile da cui ripartire, non perché tutto cambi perché nulla cambi, ma perché noi,

tutti insieme, siamo gli unici in grado di superare la narrazione della paura aprendo una fase nuova, di concreto e pragmatico ottimismo, per riconquistare i disillusi - che presto saranno tanti - della stagione gialloverde.

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