Il fallimento di Obama

La strage di Dallas compiuta contro i bianchi è una doppia sconfitta del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti

Il fallimento di Obama

È la sconfitta di Barack Obama. Perché non è soltanto un paradosso se nel secondo mandato del primo presidente afroamericano della storia americana la questione razziale è riesplosa così forte. È cominciato tutto nel 2012, con l'uccisione del giovane nero Trayvon Martin in Florida e da allora è stata un'escalation. E adesso siamo a pochi mesi dall'addio di Obama alla Casa Bianca alle soglie di qualcosa che assomiglia a una guerra civile.

I poliziotti bianchi che uccidono molto facilmente ragazzi afroamericani, spesso innocenti e inermi, come è successo due volte pochi giorni fa; e i poliziotti bianchi che vengono presi come bersaglio di un cecchino nero. Colpiti uno a uno, come in una battaglia. Il razzismo che va e che viene in un Paese che per decenni è riuscito a contenere le derive violente, salvo vederle poi riesplodere drammaticamente come avvenne nei riots di Los Angeles all'inizio degli anni Novanta. Per riportare tutto in una dinamica accettabile sono state fatte scelte surreali, vedi il caso O.J Simpson.

Ma la domanda è rimasta sempre nell'aria: è davvero stato sconfitto il razzismo o si stanno semplicemente impegnando affinché non emerga? L'arrivo di Obama alla Casa Bianca è sembrato dare ragione a chi propendeva per la prima ipotesi. Evidentemente non è andata così. E otto anni dopo l'America si trova in una situazione che sembra riportarla agli anni Sessanta. La sconfitta di un'amministrazione che probabilmente ha sottovalutato il tema razziale, diventata sconfitta doppia per non essere riuscita a spiegare al Paese prima e al mondo poi che l'America si trova di fronte alla crescita economica più continua e duratura della sua storia recente: mai dalla Grande depressione a oggi gli Usa avevano visto tanti mesi di crescita consecutiva come è accaduto tra il 2014 e il 2016. eppure la società è sfiduciata, convinta spesso di essere ancora in una crisi profonda che aumenta le distanze sociali e di classe, quindi anche quelle razziali.

La comunità afroamericana nell'era Obama invece di crescere in influenza è rimasta ai margini: il professor Gian Giacomo Migone dell'università di Torino pochi mesi fa ricordava come negli atenei americani gli studenti neri non superano il 5% della popolazione studentesca e i professori non vanno oltre il 3%. Anche i dati sulla criminalità sono indicativi: il tasso di incarcerazione degli afroamericani è triplo rispetto a quello dei bianchi. I numeri spiegano che nonostante Obama, le differenze razziali sono profonde. Oggi un giovane afroamericano ha più probabilità di essere ucciso perché i neri commettono più reati e perché dall'altro lato i poliziotti più facilmente sparano contro un nero che contro un bianco. Il risvolto di tutto questo è che quando un nero commette un crimine contro il patrimonio per il 64% dei casi lo fa contro un bianco. È razzismo? Forse non solo, ma il razzismo c'entra. Ed è bilaterale. Obama avrebbe dovuto unire le due Americhe, invece le due Americhe dopo Obama sono più divise di prima.

È vero che nel 2008, quando fu

eletto la questione non era centrale nel dibattito americano e mondiale, eppure il suo discorso della vittoria sullo sfondo aveva proprio questo: la razza. O meglio il superamento della razza. La sconfitta è doppia. E rimarrà

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