Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016 dai servizi de Il Cairo, merita verità e giustizia senza se e senza ma, e lo diciamo a scanso di equivoci. Governo e Parlamento bene fanno a tenere sotto pressione il presidente-dittatore Al Sisi che non vuole collaborare e copre gli assassini, ma ora si pone un problema non da poco, al punto che Conte è in grande imbarazzo e la sua maggioranza divisa sul da farsi. La questione è la seguente: fino a quando non otterrà quello che chiede, l'Italia deve interrompere le relazioni commerciali con l'Egitto come chiedono parte dei Cinque Stelle e della sinistra oppure no?
Nel caso di specie, che sta sollevando dubbi e polemiche, la vendita in corso di due fregate italiane alla Marina militare egiziana per un valore di 1,2 miliardi. Tanto per cambiare, Conte e il ministro degli Esteri Di Maio stanno prendendo tempo, anche se l'affare viene dato per fatto. Considerare questo business un affronto alla memoria di Regeni o un cedimento al dittatore è però discutibile almeno per tre ragioni.
La prima è una ragione etica. È vero che in questo caso c'è di mezzo un ragazzo italiano, ma se dobbiamo embargare i Paesi che non rispettano i diritti umani, qualcuno ci deve spiegare le ampie aperture di credito che questo governo ha fatto nei confronti, per esempio, di Cina e Venezuela, due Paesi che i loro ragazzi dissidenti non li trattano diversamente da quanto faccia l'Egitto.
La seconda ragione è pragmatica. Le nostre aziende esportano ogni anno in Egitto tre miliardi di merci (soprattutto prodotti chimici e macchinari) e ne importano due, prevalentemente materie prime indispensabili alle nostre aziende. Siamo quindi in attivo di un miliardo e rischiare di bloccare gli affari tra i due Paesi, più che punire l'Egitto, penalizzerebbe le aziende italiane e, quindi, la nostra economia. Obiezione possibile: ma qui parliamo di navi militari a un Paese non alleato. Contro obiezione: vero, ma balla un miliardo di euro, che non è poco, e in più con l'Egitto abbiamo in corso da tempo collaborazioni su interessi nazionali strategici, soprattutto in campo energetico.
Terza ragione. Un Paese senza politica estera non ha futuro, non si può pensare di avere voce in capitolo in Libia (e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno) dichiarando guerra all'Egitto. Sarebbe un vero suicidio
Regeni merita giustizia, ma attenzione a non peggiorare la situazione, cosa di cui questo governo è specialista. Per punire gli indiani di Arcelor Mittal rischiamo di rimanere noi senza acciaio e di lasciare qualche migliaio di operai senza lavoro.
Così come per
punire i Benetton dei morti del ponte Morandi stiamo per sfasciare quel che resta in piedi del sistema autostradale. In politica, anche internazionale, si arriva all'obiettivo usando la testa, non i pugni sbattuti sul tavolo.
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