Golpe per decreto: siamo al fine Conte mai

Si resta di stucco a leggere, nelle bozze del cosiddetto "Decreto-Rilancio", una specifica disposizione, invero passata sotto silenzio.

Golpe per decreto: siamo al fine Conte mai

S i resta di stucco a leggere, nelle bozze del cosiddetto «Decreto-Rilancio», una specifica disposizione, invero passata sotto silenzio. Il premier, del resto, non ne ha neppure fatto cenno negli annunci a reti unificate di tre giorni fa. La questione non è propriamente marginale. Si tratta dell'art. 16 in base al quale il termine di scadenza dello stato di emergenza, contemplato al 31 luglio 2020, verrebbe prorogato di ulteriori sei mesi, ovvero fino al 31 gennaio 2021. Non sappiamo ancora se tale proroga verrà confermata dal governo nel testo definitivo, poiché il decreto non risulta ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ma ci auguriamo che venga eliminata, facendo prevalere il buon senso, dopo i non più tollerabili strappi alla legalità costituzionale cui abbiamo assistito in questi mesi di lockdown.

La disposizione pone, infatti, profili problematici di costituzionalità, sia di metodo che di merito. Sul metodo, è incongruente che a metà maggio si adotti con decreto-legge una proroga di uno stato di emergenza la cui scadenza è già prevista per fine luglio. Per sua natura l'adozione del decreto-legge è collegata all'urgenza del provvedere e, in ragione di ciò, tale strumento normativo esplica efficacia giuridica immediata. Quantomeno dubbio, dunque, che si possa adottare un decreto con efficacia differita (dal 31 luglio in poi). Non sono neppure chiari i presupposti di «straordinaria necessità ed urgenza» imposti dall'art. 77 della Costituzione, tali da giustificare - addirittura due mesi e mezzo prima (!) - una proroga di altri sei mesi dell'emergenza. Quali sono le motivazioni di un provvedimento di tale impatto sulla vita dei cittadini, senza che si possa prevedere l'evoluzione del virus da qui a fine luglio? Ancora tutte da valutare sono, infatti, le conseguenze delle prime riaperture, gli effetti delle temperature estive sulla resistenza del virus, gli esiti delle terapie sperimentali che, via via, si vanno testando sulle persone contagiate. Le opinioni medico-scientifiche non sono affatto univoche sul punto.

Anche i profili di merito impongono una serie di riflessioni. In termini concreti, cosa significa la proroga di ulteriori sei mesi dello stato di emergenza? Il regime dell'emergenza ha già determinato un impatto pesantissimo su alcuni principi fondanti la democrazia rappresentativa e sulle libertà costituzionalmente garantite.

Sotto il profilo della democrazia rappresentativa, è d'obbligo l'immediato ripristino della pienezza delle regole di funzionamento di una forma di governo parlamentare. È singolare che per tale eventuale proroga dell'emergenza il governo non abbia, previamente, aperto una discussione parlamentare, sulla base di chiare e trasparenti motivazioni. Ogni disciplina derogatoria della normalità costituzionale si può, infatti, giustificare solo in quanto rigidamente contenuta in ristretti limiti temporali. E non è un caso che negli altri Paesi europei o non sono state contemplate le proroghe (come, ad esempio, in Austria), o il governo è andato in Parlamento chiedendo un espresso mandato politico in tal senso (come, ad esempio, in Spagna).

Quanto ai diritti fondamentali, dopo la sospensione delle nostre libertà personali, si apre oggi un capitolo non meno delicato che è quello dei diritti economici e del lavoro. È, infatti, a rischio la tenuta sociale del Paese. Gli italiani hanno dato una prova straordinaria nell'osservanza delle regole, ma la corda non può essere ulteriormente tirata. Con persone in fila alla Caritas per un piatto di pastasciutta o al Monte dei Pegni per dare via l'ultima catenina o con imprenditori che drammaticamente hanno perso tutto, parlare di proroghe dell'emergenza pare quasi un ossimoro.

Adesso la priorità assoluta è il lavoro su cui la nostra Repubblica si fonda (art. 1 della Costituzione). Senza il lavoro non esiste dignità dell'essere umano. Senza lavoro, c'è da aspettarsi solo un futuro molto cupo per la nostra democrazia.

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