"Il governissimo non farebbe bene all'Italia"

Il leader di Forza Italia: "La mia ricetta su Covid e giustizia"

"Il governissimo non farebbe bene all'Italia"

Presidente, l'abbiamo vista di nuovo al lavoro anche in Sardegna, non si prende un po' di vacanza?

«Per la verità in questi mesi non ho mai smesso di lavorare e non intendo certo farlo ora. Grazie alla tecnologia ho avuto riunioni e contatti quotidiani sia pure a distanza con i miei collaboratori, con i vertici di Forza Italia, con le istituzioni italiane ed europee, con i miei amici leader nel Ppe. L'unica cosa che è cambiata è che dall'inizio di agosto ho ripreso le riunioni di lavoro in presenza e non a distanza. Del resto sarà un'estate impegnativa, sia perché a settembre si svolgono importanti elezioni regionali e amministrative, sia soprattutto questa è la cosa più rilevante perché la situazione del Paese è davvero grave. Se non si interverrà adeguatamente, l'autunno e l'inverno saranno difficilissimi».

Elezioni regionali, per la prima volta si vota a settembre. Cosa si attende?

«Saranno elezioni obbiettivamente anomale, sia per la campagna elettorale ristretta ai primi diciotto giorni di settembre in agosto gli italiani pensano giustamente ad altro sia perché l'emergenza sanitaria ha polarizzato l'attenzione di tutti, facendo perdere di vista altri aspetti politici e di governo locale molto importanti, anche e proprio nel campo della sanità. Forza Italia è impegnata ovunque per la vittoria dei candidati di centrodestra, che si confermerà anche questa volta maggioranza naturale degli italiani. Da parte nostra stiamo selezionando in ogni Regione e in ogni città candidati competenti, radicati sul territorio, con esperienza non solo nella politica ma anche nell'impresa, nel lavoro, nelle professioni, nella cultura, nel volontariato. Naturalmente è necessario che tutti i nostri dirigenti, i nostri parlamentari, i nostri eletti locali siano in campo con generosità a sostegno delle nostre liste, così come lo sarò io stesso in prima persona».

Sono le prime elezioni dopo il lockdown, rinviate – è la prima volta che succede – proprio per l’emergenza sanitaria. Saranno un banco di prova per il governo?

«Queste elezioni saranno anche l’occasione per ribadire che il governo non rappresenta la maggioranza degli italiani. Ma saranno molto condizionate da ragioni locali. Da parte nostra la cosa che ci interessa di più è offrire alle Regioni e alle città dei bravi amministratori in grado di governare al meglio per i prossimi 5 anni. Stiamo lavorando prima di tutto a questo. Ci auguriamo naturalmente che le persone perbene e di buon senso siano consapevoli che la scelta più logica e conveniente è quella per Forza Italia».

Lei ha accennato poco fa a un autunno difficile. Che previsioni fa?
«Sono molto preoccupato. Non passa giorno senza che arrivino cattive notizie. Aziende in difficoltà, che rischiano la chiusura o hanno già chiuso. Interi settori, come il turismo e la ristorazione, rischiano di non risollevarsi più da un momento come questo. La disoccupazione potrebbe avere un’impennata drammatica, con effetti recessivi a catena, appena finiranno gli effetti di provvedimenti-tampone come il blocco dei licenziamenti».

C’è un modo per evitare questo scenario drammatico?
«Ci sono cose che il governo avrebbe potuto fare, sfruttando gli scostamenti di bilancio, e invece non ha fatto. Avevamo suggerito, ad esempio, un semestre fiscale bianco, sospendendo fino al 31 dicembre ogni pagamento verso la pubblica amministrazione. Mi auguro che prima o poi si rendano conto del fatto che l’unica strada è mettere le aziende in condizione di tornare ad investire e ad assumere nel più breve tempo possibile».

Non è facile, in questa crisi globale. Come ci si arriva?
«La strada è una sola: meno tasse e meno burocrazia. Un serio shock fiscale, con la flat tax e con la riduzione consistente di tutte le aliquote, può ridare fiato alle aziende e restituire liquidità al mercato che ne ha disperatamente bisogno. E poi un taglio netto all’esasperante burocrazia che rende il lavorare in Italia straordinariamente faticoso: superare il regime delle licenze edilizie e delle autorizzazioni preventive per sostituirle con autocertificazioni e verifiche ex-post sarebbe la rivoluzione copernicana che sbloccherebbe interi settori ed eliminerebbe molte occasioni di corruzione, di clientela e di malcostume. Se, come temo, la maggioranza non ci ascolterà, queste saranno le prime cose che faremo quando torneremo di nuovo al governo».

In un governo di unità nazionale? Lei lo smentisce, ma si continua a parlarne.
«Assolutamente no. Il centrodestra in Italia l’ho fondato io scendendo in campo 26 anni fa. Le sembra che potrei ribaltare in questo modo la mia storia politica? Fare un governo con forze incompatibili con noi non farebbe bene né all’Italia, né a Forza Italia. Io sto lavorando al contrario per rafforzare il centrodestra ridando slancio alla sua componente liberale, cattolica, europeista, garantista. È una componente senza la quale non si vince, e anche se si vincesse non si saprebbe governare».

Siete determinanti numericamente, senza Forza Italia il centrodestra non è maggioranza né a livello nazionale, né regionale. «Forza Italia è qualcosa di unico nell’offerta politica italiana. Siamo i soli coerenti interpreti dei valori cristiani e liberali sui quali si fonda la civiltà occidentale. Questa non è una cosa astratta: significa in concreto che siamo i soli convinti sostenitori del mercato libero dai condizionamenti dello Stato e della politica, siamo i soli rigorosi difensori delle libertà economiche e civili, siamo i soli garantisti fino in fondo. Siamo convinti che la libertà sia un diritto insito nella stessa condizione umana, per dono divino o per natura, e che lo Stato non debba avere mai il potere di appropriarsene. Questo ci rende alternativi alla sinistra e diversi da una destra che si basa su altre culture e su un’altra visione. Senza di noi il centrodestra sarebbe semplicemente una destra-destra come il Front National in Francia, che prende tanti voti ma non potrebbe mai governare. Il nostro apporto dunque non è determinante solo sul piano dei numeri, ma anche su quello delle idee, dei contenuti, dei rapporti internazionali».

Proprio in Europa, e sull’Europa, il centrodestra è diviso.
«È vero, noi abbiamo un approccio all’Europa diverso da quello dei nostri alleati. Noi siamo convintamente europeisti anche se io sogno un’Europa profondamente diversa da quella attuale. Siamo la componente italiana della più grande famiglia politica europea, i Popolari. Questo, insieme ai miei rapporti personali di amicizia con molti leader europei, mi consente di svolgere un ruolo importante in ambito internazionale».

Un ruolo che è stato importante proprio in questo periodo, a quanto dicono in Europa.
«Ho molto insistito in tutti gli ambiti europei perché l’Europa si assumesse le sue responsabilità di comunità vera e solidale di fronte alla crisi della pandemia. Posso affermare che senza il mio intervento personale con diversi capi di Stato e di governo difficilmente l’Italia avrebbe ottenuto un trattamento tanto generoso. Penso alle risorse del Recovery Fund, del Mes, del fondo Sure per finanziare la Cassa Integrazione, alla cui idea ho validamente contribuito. A questo si aggiunge naturalmente la fondamentale garanzia della Bce sul nostro debito pubblico. Senza tutto questo la situazione italiana – che è già grave – sarebbe alla catastrofe. Considero un dovere di opposizione responsabile aiutare non il governo, ma il nostro Paese in una fase drammatica».

L’Europa davvero ci ha salvato?
«Potrebbe salvarci, ma sta a noi fare un buon uso delle risorse di cui disporremo. Guai ad aspettare inerti l’arrivo del Recovery Fund, che purtroppo non sarà disponibile fino alla prossima primavera, e poi spenderlo in misure assistenziali, stataliste o clientelari invece di rimettere in moto l’economia di mercato. Guai a rinunciare al Mes quando la situazione della nostra sanità è molto precaria soprattutto al Sud, proprio nelle regioni più esposte ad una nuova ondata di Covid proveniente magari dall’Africa o dal Medio Oriente. Davvero la sanità della Campania può fare a meno di 2.725 milioni di euro? Quella della Puglia di 2.450 milioni? Quella della Sicilia di 3.091 milioni? Senza contare che queste risorse significano lavoro e occupazione. Eppure il governo, sotto l’influsso dei Cinque Stelle, è tentato di rifiutarle».

Che voto dà all’Europa?
«Un voto alto, ma solo questa volta, per come si è mossa per una risposta comune e solidale al Coronavirus, dopo le resistenze e i ritardi iniziali, provocati dai partiti sovranisti nei Paesi del Nord Europa. Però l’Europa ha davanti a sé un compito ben più vasto, che può realizzare soltanto compiendo il processo di integrazione come lo volevano i padri fondatori. Il compito di tutelare e affermare i nostri valori, il nostro stile di vita ed anche i nostri legittimi interessi in uno scenario mondiale che nei prossimi anni sarà sempre più complesso e pericoloso».

Che cosa teme?
«Più che un timore è una certezza. La Cina è il nuovo protagonista negli equilibri mondiali che sono sempre più fragili e confusi. In Cina assistiamo ad un inedito e inquietante mix di espansionismo economico e culturale, fortemente identitario, che è nelle tradizioni storiche della Cina imperiale e insieme nel moderno totalitarismo comunista. Il sistema cinese, fortemente statalista al suo interno, è un sistema nel quale il partito dirige l’economia, e non lascia spazio al pluralismo né politico, né religioso, né etnico. La Cina sembra paradossalmente rafforzata dalla crisi globale, dalla quale pare essere uscita prima di altri. Questo nonostante le evidenti responsabilità omissive all’inizio della pandemia».

Tutto questo è davvero un pericolo per noi?
«Lo è, se si considera che la Cina ha fatto e sta facendo enormi investimenti in Africa - a due passi da noi - e c’è il sospetto che alimenti la spinta migratoria dall’Africa verso l’Europa. Lo è perché la “Via della Seta” in realtà è una manovra che mira ad una serie di snodi strategici nell’economia dei nostri Paesi, a cominciare dalle infrastrutture e dalle telecomunicazioni. Lo è, ancora, perché Hong Kong è la dimostrazione di come la Cina intenda la convivenza in un sistema ordinato di regole internazionali. Tutti ormai dovrebbero essere consapevoli delle ambizioni egemoniche della Cina sull’Occidente e sul mondo intero».

Il ruolo dell’Europa in tutto questo?
«I singoli Stati europei non hanno ovviamente la forza né economica, né politica, né tanto meno militare per fronteggiare questa e altre sfide del mondo contemporaneo. Penso per esempio all’integralismo islamico. Proprio per questo ritengo che l’Europa, forte della sua identità liberale e cristiana, debba diventare davvero un soggetto unico non solo nelle politiche economiche e monetarie, ma anche nella politica estera e nella politica della difesa, unificando le forze armate di tutti gli Stati dell’Unione per ritornare così ad essere una potenza militare a livello mondiale. Di più, penso che l’Europa debba diventare il polo aggregatore del mondo Occidentale, che comprende naturalmente gli Stati Uniti ma anche la Russia, alla quale dobbiamo smettere di guardare come ad un rivale – non lo è più dalla fine della guerra fredda sancita a Pratica di Mare nel 2002 grazie alla mia determinazione e con la mia regia – e che dovrebbe diventare invece un prezioso alleato ed un elemento di stabilità per rendere l’Occidente unito ancora più forte».

A proposito di Europa: l’accordo Mediaset-Vivendi era sembrato il punto di partenza di un polo televisivo europeo. Poi le cose sono andate male, quella che era nata come un’alleanza si è trasformata in un tentativo di scalata ostile. Oggi com’è la situazione? La collaborazione con Vivendi ha un futuro?
«Devo fare una premessa: come lei sa, da 26 anni non mi occupo più delle aziende che ho fondato: sono nelle mani dei miei figli che le gestiscono al meglio, con l’aiuto di una validissima squadra di manager e di collaboratori. Posso però dirle – perché naturalmente ne vengo informato – che è in corso un complesso contenzioso giudiziario e che comunque qualunque decisione dovesse essere assunta, l’idea di un polo televisivo europeo rimane con assoluta determinazione nell’orizzonte di Mediaset. Ma per quanto riguarda Vivendi il punto fermo è che abbiamo subito un torto che in tutte le sedi giudiziarie ci verrà sicuramente riconosciuto. Di un eventuale progetto industriale futuro si potrà parlare solo quando ci verranno riconosciuti e risarciti i gravi danni che abbiamo subito. Chi parla di pace senza risolvere prima questo punto è fuori dalla realtà. Su questo tutta la mia famiglia è irremovibile».

Torniamo in casa nostra. Mentre lei si occupava da premier dei grandi temi di politica internazionale, l’accordo Nato-Russia, il tentativo di evitare la seconda Guerra del Golfo e così via, la magistratura si occupava di lei in modo almeno insolito…
«Insolito nel senso che non si è mai visto nulla di simile nelle democrazie dell’Europa e dell’Occidente. Il leader politico che è stato presidente del Consiglio il maggior numero di anni nella storia della Repubblica, che ha vinto per tre volte le elezioni nazionali, che in 26 anni ha ottenuto oltre 200 milioni di voti battendo ogni record nei Paesi democratici, che ha presieduto per tre volte – unico leader al mondo - il G8, è stato vittima di un altro record, ben diverso e ben più triste: 96 processi e oltre 3.600 udienze, un caso unico nella storia giudiziaria dei Paesi dell’Occidente democratico. È davvero senza alcun precedente l’accanimento che ho subito. È stata usata la giustizia come arma politica per tentare di distruggermi. In ben 96 processi sono riusciti ad ottenere un’unica infondatissima condanna, ma sufficiente a farmi decadere dal Senato e ad impedirmi per anni la candidatura al Parlamento italiano. Una condanna, voglio riaffermarlo, totalmente iniqua».

Ci spiega perché la condanna era iniqua?
«Più che iniqua forse dovrei dire assurda. Assurda perché attribuiva a me - che all’epoca del presunto reato ero presidente del Consiglio, e quindi totalmente impegnato nella gestione della cosa pubblica - la responsabilità di aver operato per procurare un risparmio fiscale di sette milioni di euro a Mediaset, una delle società del mio gruppo quotate in Borsa. Il presunto vantaggio fiscale sarebbe quindi andato a vantaggio di tutti gli azionisti. Una ipotesi irrealistica e addirittura impossibile perché questa operazione avrebbe riguardato le annualità 2002 e 2003, quando da quasi dieci anni avevo abbandonato ogni carica e ogni ruolo in tutte le aziende che avevo fondato per dedicarmi all’impegno politico. Ad ulteriore riprova si deve aggiungere che il presidente e l’amministratore delegato di Mediaset, che avevano, loro sì, il potere di decisione e di firma, non hanno subito alcunché di negativo». Sette milioni non sono una piccola cifra: era un risparmio importante per Mediaset? «Non erano un risparmio perché non erano assolutamente dovuti! E poi sette milioni sono una cifra molto importante per un privato cittadino, ma una somma ridicola rispetto al bilancio di Mediaset, fra l’altro divisi in due annualità, e a quello che le aziende che ho fondato hanno pagato e pagano di tasse. Sa quanto avevano versato all’erario le società del mio gruppo dal 1994 – anno della mia discesa in campo – al 2003? Cinque miliardi e seicentocinquanta milioni di euro, una cifra che fra l’altro dimostra l’importanza di Fininvest per la finanza pubblica italiana. In sostanza avrei commesso un reato che non c’era – e che comunque non avrei potuto materialmente commettere non avendo alcuna carica in Mediaset - per far risparmiare, non a me ma alla società, sette milioni sui quasi sei miliardi di imposte versate al fisco dal mio gruppo. Poco più di un millesimo. Aggiungo che sarebbe stato un errore che un imprenditore come io sono stato, sono e sarò sempre, non avrebbe mai commesso. Vi rendete conto?».

E di questi sette milioni a Mediaset lei personalmente avrebbe tratto qualche vantaggio?
«Consideri che questo preteso risparmio sarebbe entrato nel fatturato complessivo di Mediaset, traducendosi in una minima frazione di dividendo per l’azionista Fininvest e a seguire, pro quota, per l’azionista di Fininvest, Berlusconi. Quindi da presidente del Consiglio avrei posto in essere un complicatissimo sistema per guadagnare qualche decina di migliaia di euro di dividendo in più. Un piccolo vantaggio che sarebbe stato sottoposto ad ulteriore tassazione, fino a dimezzarsi, nella mia denuncia dei redditi. È davvero un’ipotesi assurda e addirittura ridicola».

Ma nessuno se ne è reso conto tra i magistrati?
«Al contrario. Una successiva sentenza del Tribunale di Milano ha decretato l’assoluta e totale insussistenza di ciò che mi era stato addebitato. Vorrei aggiungere che sia il Tribunale di Roma, con decisione confermata dalla Corte di Cassazione, sia il Tribunale di Milano, anche in tal caso confermato dalla Cassazione, hanno decretato l’insussistenza del reato e la mia totale estraneità alla vicenda».

Quindi questa condanna è stata davvero messa in atto da un “plotone d’esecuzione” ai suoi danni, come ha detto il giudice Amedeo Franco, relatore del Collegio che l’ha condannata? Non sono parole mie, ma di uno dei magistrati che faceva parte del Collegio. Ora la verità sulla sua condanna sta emergendo. Le dichiarazioni di Palamara sembrano confermare quello che lei denuncia da anni sulla politicizzazione dell’Associazione Nazionale Magistrati. I suoi stessi avversari, per esempio Prodi, dopo averla combattuta per decenni, dicono che non sarebbe uno scandalo collaborare con lei. È giunto il momento della rivalsa? «Nessuna rivalsa. Sul piano personale sono stato ampiamente ripagato di ogni amarezza dall’affetto e dalla fiducia che gli italiani mi hanno sempre dimostrato. Non chiedo altro.

Dico però che il fatto che si faccia chiarezza, che i veleni vengano messi da parte, che il rapporto fra le diverse parti politiche e fra la politica e la magistratura assuma caratteristiche diverse, più serene e meno conflittuali, è stata la mia speranza da sempre e forse è l’unica buona prospettiva in questa difficile stagione»

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