Sono numerosi gli indizi che ieri hanno portato la procura di Brescia all'arresto di Silvia e Paola Zani, le figlie di Laura Ziliani. La scomparsa della donna uscita alle 7 del mattino lo scorso 8 maggio a Tamù, in Alta Valcamonica, e il suo corpo privo di vita restituito dal fiume Oglio l’8 agosto, in avanzato stato di decomposizione, non avevano convinto fino in fondo gli inquirenti. Ieri l’arresto delle due figlie e con loro anche del fidanzato della maggiore, Mirto Milani. Per loro l’accusa è di omicidio volontario, aggravato dalla relazione di parentela con la vittima, e occultamento di cadavere.
Tutti gli indizi
Gli elementi sui quali gli inquirenti si sono basati in questi mesi di indagini per arrivare agli autori del delitto ruotano intorno ai telefonini resettati, l’ansiolitico di Bromazepam, trovato in casa della vittima, lo stato in cui è stato ritrovato il cadavere e una scarpa occultata. I cellulari sono stati consegnati ai carabinieri soltanto dopo che le due ragazze ne avevano cancellato tutti i contenuti resettando le impostazioni di fabbrica. Le due avevano detto agli inquirenti di averli venduti a un marocchino per fare soldi. Avevano raccontato anche che c’erano dei contenuti per i quali provavano vergogna e quindi era meglio resettare tutto. C’è poi il telefonino della vigilessa, trovato nella cantina della sua abitazione. Tutti sapevano che la donna lo teneva sempre con sé in ogni spostamento. Le due ragazze, fidanzato compreso, avevano riferito invece che la vittima ci stava “smanettando” prima di far perdere ogni traccia. Ma il cellulare non generava traffico in quel momento.
L’ansiolitico e la scarpa
A destare molti sospetti è stata anche la bottiglietta di ansiolitico, Bromazepam, trovata nella casa della donna. Un forte medicinale di cui la vigilessa non aveva mai fatto uso prima. Secondo il gip le due sorelle avrebbero somministrato un alto dosaggio di quel farmaco alla madre. Un ansiolitico che nessun medico le aveva mai prescritto prima e avente l’effetto di ridurre la capacità di difesa rispetto agli attacchi esterni. Ma c’è di più. Una bottiglietta di quel farmaco, pieno fino ad un terzo, era stata trovata dai carabinieri nella casa di Silvia. Quest’ultima, a sua volta, lavorando in una Rsa, avrebbe sottratto Queatipina 50 “per provarne gli effetti dell’assunzione con l’alcol”. Alla sorella avrebbe rivelato, in una conversazione telefonica, di averlo ingerito insieme a dell’alcol e di essere stata molto male al punto da spaventarsi. Altro elemento che ha consentito di dare un orientamento alle indagini verso la svolta è stato il ritrovamento di una delle scarpe di Laura Zilani nel bosco. La scarpa destra è stata ritrovata nel letto del torrente Fiumeclo, un tratto compatibile al percorso che la mamma avrebbe seguito secondo le figlie, ma non con il corso dell’acqua di quel fiume. La scarpa sinistra è stata nascosta due giorni dopo da Paola e Mirto in un boschetto isolato. Un escursionista però se n’è accorto.
Altri elementi
C’è poi lo stato di conservazione del cadavere della donna che “rimanda alla sua provvisoria collocazione in un luogo riparato dagli agenti atmosferici e non ancora conosciuto, che ne ha rallentato il deterioramento, rendendo impossibile sia stata vittima di un evento accidentale”.
Sin dall’inizio i racconti dei tre ragazzi non hanno mai convinto gli inquirenti. Unico movente? Il denaro. Tutti interessati all’eredità della donna. Le figlie addirittura, venti giorni dopo la morte della madre, programmavano di riscuotere l’eredità e fare una vacanza.
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