"Io, sopravvissuta all'aborto" L'ex bimba di Dio arriva in Italia

"Io, sopravvissuta all'aborto" L'ex bimba di Dio arriva in Italia

Los Angeles, 7 aprile 1977. Una diciassettenne del Tennessee entra in una clinica della città dove è attivo il Planned Parenthood, il più grande ente abortista del mondo, un ente non-profit, come sottolinea nel suo sito americano. È al settimo mese e mezzo di gravidanza, neanche il premaman riesce a nascondere la pancia: vuole abortire. Che problema c'è? Nessuno, e infatti la fanno infilare in un letto in una stanza insieme ad altre ragazze, anche loro incinte e in attesa dell'aborto salino tardivo o se già fatto - di partorire un figlio morto, ustionato, cieco, corroso dentro, perché l'aborto salino consiste in una particolare soluzione salina che viene iniettata nella pancia della mamma e direttamente nel bambino il quale, appunto, nel giro di 24 ore nasce morto, ustionato, cieco, corroso.

Le viene praticato l'aborto salino, ma dopo diciotto ore passate a combattere la bambina nasce viva. Il medico abortista che deve dichiararne la morte non è di turno: una fortuna, perché fino al 2002 quando è stata approvata la legge «Born Alive Infants Protection Act» voluta dal presidente Bush - negli Stati Uniti era prassi che i bambini abortiti vivi, cioè sopravvissuti a un aborto, venissero soffocati, strangolati o semplicemente lasciati morire in un angolo e buttati via. Per dovere di cronaca: l'aborto salino è stato inventato dal medico romeno Eugen Abuel negli anni '30, l'ha definito «un aborto di successo».

La bambina nasce viva, novecento grammi, gravissima, un'infermiera chiama un'ambulanza e la porta in ospedale: secondo i medici non sopravvivrà. Un anno dopo, sempre secondo i medici, non sarà mai in grado neppure di tenere la testa dritta. Ore e ore di fisioterapia con la mamma adottiva e a tre anni e mezzo con l'aiuto di un girello e rinforzi alle braccia riesce a camminare anche se con difficoltà. Oggi Gianna Jessen continua a camminare con qualche difficoltà ma senza aiuti, ha studiato, ha una famiglia, ha scritto un'autobiografia da cui è stato tratto il film «October baby» uscito da noi in Dvd in inglese sottotitolato in italiano: è in arrivo per un giro di conferenze (la prima stasera a Como all'auditorium del collegio Gallio, quindi Torino, Verona, Trento, Modena, Loreto).

In Italia chi conosce Gianna Jessen? Solo una piccola parte del mondo cattolico. Wikipedia italiana le dedica dieci righe in cui (come fa sempre) si dimentica di scrivere quello che non le fa comodo e cioè che Gianna è naturalmente contro l'aborto, ce l'ha con le femministe e contro il diritto delle madri di abortire senza pensare al diritto di chi vorrebbe nascere, crede in Gesù e si considera «La bambina di Dio»: una politically scorrect. Ovvio che i grandi poli editoriali non pubblichino in italiano il suo libro «Aborted and lived to tell about» , ma le case editrici cattoliche?

Gira il mondo a testimoniare, negli Stati Uniti ha parlato anche davanti al Congresso: «Se l'aborto è una questione di diritto, dov'erano i miei? La mia missione è quella di portare un po' di umanità in un dibattito che è diventato una semplice questione».

Ha incontrato la madre biologica e l'ha perdonata, perché «mi hanno odiata fin dal concepimento, ma sono stata amata da molte più persone e da Dio». Ha fatto ricerche sull'uomo che ha praticato l'aborto su di lei: «Le sue cliniche sono la più grande catena di cliniche per abortire degli Stati Uniti e fatturano 70 milioni di dollari l'anno. Ha dichiarato di aver praticato un milione di aborti e che praticare aborti era la sua passione». Gianna ha incontrato altri sopravvissuti all'aborto ed erano «tutti grati per la vita.

Io parlo per conto di tutti i bambini che sono morti e per quelli che saranno condannati a morte. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto o un altro dei titoli dati a un bambino nell'utero. Non penso che nessuna persona concepita sia una di quelle cose».

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