L'anti-melonismo e il suo antidoto

Ci sono molti modi per custodire la memoria di piazza Fontana. Il peggiore è quello di prolungare l'odio del tempo fin nell'oggi, riversandolo su chi nel 1969 neppure era nato

L'anti-melonismo e il suo antidoto

Ci sono molti modi per custodire la memoria di piazza Fontana. Il peggiore è quello di prolungare l'odio del tempo fin nell'oggi, riversandolo su chi nel 1969 neppure era nato. Se infatti la verità giudiziaria è ancora in forse, la verità o, meglio, la verosimiglianza storica, è invece attestata.

La strage, come quelle successive, va compresa all'interno della divisione di Yalta da cui il nostro Paese, assieme alla Germania Occidentale, fu il più coinvolto: servizi, centrali estere, sovversione di estrema destra contrapposta a quella rossa, finanziata a sua volta da Est.

Tutta quella stagione, che portò a una quasi guerra civile, come disse a suo tempo il presidente Cossiga, non fu la continuazione dello scontro tra fascismo e antifascismo, il primo peraltro essendo finito già allora da tempo: ne assunse solo le apparenze esterne, ma la posta in gioco era altra. Non essendoci più la Guerra fredda, quella stagione non tornerà più. Va consegnata alla storia. Che, a usarla per delegittimare l'avversario, occorre perlomeno conoscerla. Come certamente la conosce l'ex direttore di Repubblica e ora editorialista del Corriere della sera, Carlo Verdelli, che tuttavia in un tweet istituisce un nesso tra piazza Fontana e Atreju, la festa di Fratelli d'Italia. Il problema è che Verdelli la storia la conosce ma non gli cale, perché la sua intenzione è quella di delegittimare Giorgia Meloni, erede a questo punto non solo del regime fascista, ma pure dello stragismo nero - quando i condannati per Piazza Fontana erano stati espulsi dal Msi ben prima del 1969.

Ci si potrebbe fare una risata. Ma Verdelli non è uno qualunque, è il rappresentante tipico del ceto mediatico, totalmente progressista, che non intende concedere alcuna legittimità a Meloni, anche e soprattutto in vista di un futuro governo. Pure qui si potrebbe fare spallucce, e replicare che quel che conta sono la legittimità sostanziale e quella formale, cioè i voti e il rispetto delle regole costituzionali. E tuttavia il potere della legittimazione simbolica è forte: se n'è accorto Trump, a cui il partito dei media ha promesso e mantenuto inimicizia assoluta.

Siamo sicuri che, per proteggersi da quegli attacchi, basti affidarsi alle promesse di Enrico Letta, cioè il capo del partito più legato al ceto mediatico progressista? Oppure a quelle di chi, a parole, è aperto verso Fdi, pronto poi però a farsi riassorbire dalla sinistra una volta salito al Colle? Ancora una volta, nessuno costituirebbe meglio una diga per la destra italiana, di colui che l'ha portata a suo tempo al governo: il Cavaliere.

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