Aerei che sorvolano la città, civili fatti evacuare dalle abitazioni, Tripoli vive il suo sabato di passione mentre la battaglia avanza verso il centro. Sono momenti concitati quelli che vive l’intera Libia, ma è la capitale adesso ad essere nel pieno della guerra e delle operazioni militari: a contendersela sono le milizie rimaste fedeli al governo e l’esercito di Haftar.
E mentre il generale della Cirenaica avanza, a sentirsi maggiormente accerchiato è proprio colui che da tre anni guida un esecutivo che in realtà a fatica riesce a controllare oltre la strada dove sorge il palazzo presidenziale. Al Sarraj, nominato leader del consiglio presidenziale nel 2016, accusa apertamente Haftar di tradimento. Dopo tre giorni di silenzio, intervallato solo dalla comparsa in una foto scattata nel posto di guardia 27, punto conteso tra le sue milizie ed i soldati di Haftar ad ovest di Tripoli, adesso Al Sarraj decide di parlare alla tv.
L’immagine che dà di sé è quella, in primis, di un uomo che prova una forte delusione umana e personale: “Abbiamo teso la mano della pace ad Haftar – spiega nel discorso – Ma dopo la sua dichiarazione di guerra troverà fermezza nella nostra città”. E poi, per l’appunto, la chiosa finale: “Sono stato tradito”.
Al Sarraj forse fa riferimento agli incontri avuti con il generale in questi mesi, a partire da quello di Palermo e per finire con quello del mese di febbraio tenuto ad Abu Dhabi. In realtà viene difficile pensare che Al Sarraj non fosse al corrente delle reali intenzioni di Haftar, il quale da mesi appare come l’unico in grado di controllare per intero il paese. Ma lui, il premier, ci tiene a mostrarsi come persona che sta subendo una situazione divampata all’improvviso e dunque difficile da gestire.
Al Sarraj promette fermezza, chiede a tutti un unico grande sforzo, vede in Haftar adesso un nemico contro cui combattere. Mentre le truppe del generale sono a 10 km dal palazzo da cui parla, il premier prova a mostrarsi come uomo di pace e come persona che fino alla fine prova ad evitare uno scontro diretto con altri libici.
Perché, in fondo, quello a cui si sta assistendo per adesso è proprio questo: un confronto violento tra libici, tra persone dello stesso paese, tra gente che da otto anni non riesce a trovare pace.
E dunque da Tripoli si scappa: vanno via i libici, ma lasciano la capitale anche gli italiani. Non solo l’Eni, che già da sabato mattina coordina assieme alla Farnesina l’evacuazione del suo personale, ma anche tanti imprenditori italiani che nel frattempo in Libia e sulla Libia in questi anni hanno scommesso.
Sono centinaia gli italiani che vivono e lavorano qui: i rapporti tra i due paesi non sono mai interrotti, nemmeno quando l’uccisione di Gheddafi nel 2011 fa sprofondare il paese nel caos più totale. Non solo diplomatici, ma anche appunto imprenditori, lavoratori e dipendenti di grosse aziende impegnate da diverso tempo in Libia. C’è chi prende un aereo per Tunisi per via del timore di rimanere a Tripoli quando la situazione potrebbe farsi più problematica, c’è chi viaggia verso Istanbul per poi da lì prendere altri aerei per l’Italia, in generale gli italiani che scappano dalla capitale libica sono decine.
Ed anche se chi rimane minimizza e tranquillizza, specificando che in fin dei conti il fronte è ancora lontano da Tripoli ed in città la situazione è normale, la tensione coinvolge gran parte della nostra comunità presente nella capitale libica.
Ed ora, a fare paura, è ancora una volta lo spauracchio di non poter contare su un paese verso cui l’Italia guarda sempre con grande attenzione e dove, soprattutto, i nostri interessi appaiono molto importanti da diversi decenni a questa parte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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