La linea Putin per fermare i terroristi

La linea Putin per fermare i terroristi

«Sì, sono stati i terroristi» ha detto Putin dell'esplosione di San Pietroburgo. E subito ha aggiunto un tocco putiniano: le forze dell'ordine devono «agire con decisione, non prendere prigionieri, eliminare i banditi sul posto nel caso la loro vita sia in pericolo». Un'indicazione molto drastica, anche se, alla lettera, confacente alle comuni regole di ingaggio di esercito e polizia in tutto il mondo. La sede del discorso è significativa: una cerimonia di premiazione al Cremlino per le truppe che hanno preso parte alla campagna russa in Siria contro l'Isis. La premessa è duplice: da una parte, il valore decisivo proprio contro il terrorismo (e questo a chi si azzarda a pensare a scelte di carattere egemonico in Medio Oriente) del suo impegno della campagna di Siria contro l'Isis. E quindi, la continuità con la decisione di combattere in patria il terrore fino in fondo. Il terrorismo è l'incubo di tutti: la sua dunque è una descrizione dell'intervento in Siria come di un'azione meritoria della Russia contro i foreign fighter. E poi, incitando a combattere senza pietà, ha rimarcato come questa guerra sia in pieno svolgimento, durissima e indispensabilmente aggressiva. La forza, ha voluto dire Putin mentre una gran parte dell'opinione pubblica mondiale a sua volta si sposta dalla speranza della pacificazione alla battaglia fisica e giuridica, è l'unica strategia contro il rischio-sicurezza centrale nel nostro tempo e nei nostri centri di vita quotidiana. Il terrorismo, sembra sottolineare Putin, sia pure a modo suo, richiede una nuova filosofia. La collaborazione contro di esso è al centro, per la prima volta, della politica internazionale, basta ricordare come Putin abbia rivolto un ringraziamento pubblico il 17 dicembre a Trump, dopo il sanguinoso attacco di aprile che aveva fatto 14 morti, a prevenire altri attentati terroristici. La Russia è esposta al terrorismo dell'Isis sommato a quello dei ceceni musulmani esasperati: il risultato è molto pesante. Chi non ricorda l'attacco del teatro Dubrovka che fece 170 morti? E se si guarda le statistiche si nota che il fenomeno è stato affrontato di petto: dai 231 morti del 2010 oggi si contano 36 vittime. La linea dura di Putin si fa sempre più comune. Tuttavia, non si è perso lo sforzo di conservare moderazione e senso del diritto dove la guerra al terrore è più dura, come in Israele: qui da due giorni è cominciato il processo a Omar al Abed, un terrorista che ha ucciso a sangue freddo di notte in casa loro tre membri della famiglia Salomon, il padre di 70 anni e due figli, ferendo gravemente la madre. Sia la famiglia sopravvissuta sia il ministro della Difesa Avigdor Lieberman hanno chiesto la pena di morte, che in Israele è stata applicata da una corte militare, l'unica che può comminarla, una sola volta, contro Adolf Eichmann nel 1962. La richiesta appare lontana dal poter essere accolta. Intanto, un soldato, Elor Azaria, che nel marzo del 2016 ha sparato su un terrorista ridotto a terra finendolo, è adesso in carcere. Un terrorista può, anzi deve essere fermato a tutti i costi se è ancora armato, attivo, e pone un pericolo.

Se Putin intendesse letteralmente questo, avrebbe molto più ragione del ministro degli Esteri Margot Wallstrom che ha chiamato «esecuzioni extragiudiziarie» chiedendo un'inchiesta internazionale la guerra ai terroristi colpiti a morte con le armi in pugno durante gli attacchi di quest'utima Intifada. Una forma di alleanza coi terroristi. La bravura consiste invece nel combattere difendendo la vita e anche la purezza delle armi. Vedremo se Putin intendeva questo, o solo di darci giù senza condizioni.

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