Dopo l'olio, le ciliegie straniere: invasi per colpa della legge di Renzi

La legge contro il caporalato e la nuova certificazione hanno messo in ginocchio i produttori italiani di ciliegie. Così i market comprano all'estero

Dopo l'olio, le ciliegie straniere: invasi per colpa della legge di Renzi

Non bastava l'olio tunisino, con la decisione dell'Ue di aprire all'importazione massiccia di olio senza dazi dal paese africano. Ora a colpire gli agricoltori italiani ci si mettono pure il governo Renzi e il caldo. Il ministero per le politiche agricole, infatti, a settembre dell'anno scorso ha dato il via ad una "certificazione di qualità" per le aziende agricole per contrastare il fenomeno del caporalato.

Si chiama "Rete del lavoro agricolo di qualità" e per molti imprenditori della terra si è trasformata in una beffa. Le domande per ottenere la certificazione, infatti, sono state pochissime dall'apertura delle pratiche, come spiega anche l'Inps (che gestisce la Rete): "L’Inps ha espletato tutte le procedure che spettano all’Istituto per il rilascio della certificazione di qualità. Ma le domande in attesa di risposta sono 600 in tutta Italia. Quindi la stragrande maggioranza delle diverse migliaia di produttori cerasicoli pugliesi non ha presentato domanda per l’iscrizione a Rete agricola di qualità".

Peccato che, anche a detta di Raffaele Fitto, la Rete non sia altro che "una nuova pratica burocratica introdotta dal governo Renzi la cui applicazione però si è rivelata ancora impossibile e lenta a causa di regole incomprensibili". Così gli agricoltori ieri si sono trovati ai cancelli degli addetti alla grande distribuzione che i supermercati non compreranno più prodotti da aziende non in regola con la Rete di qualità. Non tutti gli agricoltori erano a conoscenza di questa novità, ennesima regolamentazione dal sapore di scartoffia. Senza contare che le aziende straniere non devono aderire alla "Rete" e quindi possono tranquillamente sfruttare il lavoro a basso prezzo senza avere problemi con la distribuzione. Vendono le loro ai danni dei prodotti italiani. Una discriminazione senza senso. Perché allora non obbligare anche le aziende straniere che vendono in Italia a fornirsi della certificazione?

Oltre al danno, ovviamente, non poteva mancare la beffa. Quest'anno, infatti, a causa del caldo, le ciliegie sono maturate in fretta. E se i produttori non riusciranno a venderle nel breve tempo dovranno buttarle. Ottenere la certificazione non è certo cosa di pochi giorni, e così la grande distribuzione si è già rivolta all'estero. Alla fine dei conti, insomma, a rimetterci sono i nostri produttori. E i consumatori costretti a comprare ciliegie straniere. Agrinsieme Puglia ha chiesto quindi all'Inps maggiore flessibilità: "Nelle more del rilascio della certificazione da parte dell’istituto di previdenza - ha detto al Corriere del Mezzogiorno - i produttori devono poter raccogliere e vendere un prodotto fresco come le ciliegie, altrimenti il danno economico all’agricoltura rischia di diventare devastante".

Anche la Coldiretti Puglia è su tutte le furie: "Sono tanti i prodotti stranieri venduti sui banchi degli ipermercati pugliesi - dice il presidente Gianni Cantele - proprio nelle ore in cui stanno rifiutando di ritirare ciliegie pugliesi in mancanza dell’adesione volontaria alla Rete del lavoro agricolo".

Contenta invece la Cgil, secondo cui la "Rete" è un modo per combattere il caporalato: "C’è un forte livello di illegalità tra i produttori dice a Repubblica il segretario regionale Giuseppe Deleonardis — Molti non si sono iscritti alla Rete perché in questo momento sono in difficoltà. Ma le aziende non possono perdere l’opportunità di uscire dal sistema dell’illegalità". Sono contenti se i produttori navigano con l'acqua alla gola.

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