Adesso che ci siamo tutti tolti un peso, Lucilla Boari può festeggiare due volte, anche tre. E sul perché forse è meglio andare per ordine. Intanto: Lucilla è una simpatica ragazza di Rivalta sul Mincio, specialità tiro con l'arco. Quella disciplina per cui chi la pratica passa per essere Robin Hood, anche se poi, se si guardano bene gli archi, non è che sembra di essere alla foresta di Sherwood. Uno stereotipo. Appunto. Motivo numero uno: cinque anni fa, a Rio de Janeiro, la nostra eroina si presenta per vincere una medaglia, con le compagne Guendalina Sartori e Claudia Mandia. Si fermano ai quarti di finale, perdono per poco, diventano un caso nazionale. Un quotidiano titola: «Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico». Voleva essere simpatico. Che ridere. Se ci pensiamo bene il 2016 sembra qualche era geologica fa, eppure forse è stato l'inizio di qualcosa. Non solo per Lucilla. Perché se ci pensiamo altrettanto bene, il problema non è solo «quel» quotidiano, ma eravamo un po' anche tutti noi. Fatto sta: il direttore di allora perse il lavoro, la categoria un po' di torpore. Proteste: «Cicciottelle a chi?».
Motivo numero due. Lucilla non ha dormito tutta la notte. Questa volta era sola e sempre nei quarti di finale delle Olimpiadi: «Mi hanno detto che già il giorno prima avevo le pulsazioni alle stelle, mi sa che ho rischiato l'infarto». Il tiro con l'arco è una di quelle gare dove anche i millimetri contano. Per dire: un altro match dei quarti è finito allo spareggio e quando le due hanno fatto entrambe 10, i giudici sono andati col righello a contare la distanza dal centro. Lucilla però stavolta era decisa: «Visto quello che è successo a Rio, mi son detta che era il caso di rischiare il tutto per tutto». Gli ottavi li vince, agli spareggi. I quarti vanno lisci. La semifinale no, però poi c'è la finale per il bronzo: finisce 7-1 per lei. «In Brasile ero molto giovane, avevo 19 anni. Avevo appena fatto gli esami di maturità prima di partire, ero un po' una bimba al parco giochi. Dopo 5 anni essere ancora qui e giocarsi una medaglia ci vuole testa: con questa medaglia al collo posso dire di aver guadagnato anche un po' di autostima».
Motivo numero tre: ha ragione lei. Dopo l'ultimo centro Lucilla esplode: «Non ci credo. Se è un sogno, svegliatemi». In questi cinque anni ha perso qualche chilo e molti pregiudizi: dei primi sono cavoli suoi, dei secondi sono anche nostri. Partono i ringraziamenti di rito, quelli per papà e mamma che le hanno dato un arco in mano a 7 anni: «La cosa divertente è che sono la prima italiana sul podio in questo sport: ho fatto la storia, la materia che insegna mia madre a scuola e che non mi è mai piaciuta. Anche papà è arciere e docente, adesso lo chiamo. Se mi risponde...». E poi: «Il titolo di cinque anni fa? Mi hanno detto che non voleva essere denigratorio, però ci ha dato fastidio. Era un messaggio sbagliato».
Squilla il telefono, è una videochiamata: «Ti amo, sono orgogliosa di te, non vedo l'ora di vederti». È Sanne de Laat, olandese, arciera anche lei, «la mia fidanzata». Cinque anni dopo nessuno ci fa più caso, è una vittoria anche questa.
«E comunque: mi aspetto un bel titolo domani» ride Lucilla. Speriamo di esserci riusciti.Ps. San An, la coreana vincitrice della medaglia d'oro, è stata presa di mira dai sapientoni dei social per il suo look da nerd. La prossima freccia è per loro.
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