È successo, nella disgraziata storia di questo Paese, che la sinistra mostrasse un volto riformista. Raramente, ma è successo, in tempi recenti almeno due volte. La prima nel 2006, governo Prodi, con la «lenzuolata liberalizzatrice» che Bersani si inventò prima di essere risucchiato dal rigurgito comunista per aprire al mercato diversi settori dell'economia Italiana. La seconda porta la firma di Matteo Renzi, il premier che nel 2018 fa prima approvare a forza una riforma del lavoro che abolisce l'articolo 18 e apre il mercato del lavoro il Jobs act - e poi vara lo «sblocca Italia», che dà un colpo alla burocrazia padrona.
Parliamo di due squarci di sole in un cielo plumbeo ingrigito ancora di più con l'arrivo alla guida del Pd di Elly Schlein, che sta provando a smontare anche quel poco di buono il suo partito aveva fatto, a partire dall'adesione al referendum lanciato dalla Cgil per abolire il Jobs act. L'idea che si potesse aprire una stagione di riforme condivise per modernizzare il Paese naufraga quindi contro la regressione di una sinistra sempre più massimalista.
Bisogna prendere atto che il governo dovrà vedersela da solo e non sarà facile, si prospetta una sorta di uno (il governo) contro tutti, dove il tutti sono le singole corporazioni che chiedono riforme per tutto ma mai per sé stesse. Il meccanismo è lo stesso della «discarica sì, ma ben lontana da me». Abbiamo la giustizia più lenta e inefficiente dell'Occidente ma i magistrati si oppongono a qualsiasi cambiamento; nelle città mancano taxi ma guai a rilasciare nuove licenze; il sistema balneare è una giungla ma di riordinarlo non se ne può parlare; il mondo del calcio è un colabrodo ma risanarlo sarebbe lesa maestà. Risultato: tassisti e balneari hanno a che fare con una giustizia pessima, i magistrati non trovano i taxi quando servono, magistrati e tassisti vanno in vacanza in spiagge non sempre all'altezza delle promesse e la squadra del cuore si barcamena come può.
Il mancato riformismo è un serpente che si mangia la coda, genera problemi e tarpa la crescita.
Scavallate le Europee, Giorgia Meloni si troverà al bivio se tirare diritta costi quel che costi come fecero con successo due grandi conservatori che l'hanno preceduta sulla scena (Margaret Thatcher e Ronald Reagan) o barcamenarsi in qualche modo. Conoscendola, propendo per la prima ipotesi.
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