In Italia c’è un diritto che rischia di non essere abbastanza tutelato: quello alla maternità. Aldilà delle polemiche sulla legge che dovrebbe far approvare anche in Italia il modello delle unioni civili collegato alla cosiddetta stepchild adoption, la possibilità cioè delle unioni di fatto omo e eterosessuali di adottare il figlio biologico del partner, i recenti casi di cronaca giudiziaria riaccendono i riflettori sulle mamme che hanno guai con la giustizia e i diritti dei loro minori. «Il caso di Martina Levato e Alexander Boettcher, la coppia dell’acido che ha avuto un bambino, apre uno squarcio su una situazione, tutta italiana, in cui la legge non è affatto chiara», scrive infatti Edoardo Montolli sull'ultimo numero di Crimen (https://www.facebook.com/crimenmagazine/). «All’epoca degli ultimi assalti Martina era già incinta. Il 15 agosto partorisce Achille, figlio di lei e di Alexander. Appena nato, non glielo fanno neanche vedere. Il pm fa istanza di adottabilità. Scoppiano le polemiche, inevitabili. Il punto non sono le colpe di Martina. Il punto sono i diritti del bambino. Quando le sentenze diventeranno definitive la ragazza pagherà per gli anni stabiliti dalle sentenze. Ma Achille? In carcere è pieno di madri che hanno sbagliato, che vivono lì in strutture apposite coi propri piccoli. C’è gente che i bambini li ha sciolti letteralmente nell’acido, pur avendo figli che hanno continuato a portarne il cognome. È pieno di assassini rimasti genitori».
Il dibattito è aspro: Ha lo Stato il diritto di non far conoscere a un bambino le proprie origini, quando chi lo ha concepito lo ha riconosciuto? O ha più diritto il bimbo di conoscere i veri genitori, ed eventualmente averne pena, comprenderli, amarli comunque oppure odiarli? «L’Italia - si legge su Crimen - si è infatti arrogata molto spesso il diritto che non aveva di strappare figli anche a persone incensurate che versavano semplicemente in pessime condizioni economico-sociali, puntualmente sanzionato - unico Paese occidentale con condanne a tre cifre - dalla Corte per i diritti dell’Uomo di Strasburgo. Per le violazioni dell’articolo 8 del Trattato, che riguarda il “diritto alla vita privata e famigliare” in cui rientra la sottrazione illecita di minori da parte dello Stato l’Italia “vanta” infatti 145 condanne (ogni condanna può riassumere fino a centinaia di casi) contro, ad esempio, le 40 della Francia, le 20 della Germania, le 10 della Spagna. E addirittura contro le 89 della contestatissima Turchia». Crimen passa in rassegna una serie di precedenti. Annamaria Franzoni, per esempio. «Per la legge - scrive Montolli - pur considerata sana di mente, avrebbe massacrato un figlio. Ma poi è stata rimandata a casa a prendersi cura degli altri due». Ma ci sono altre storie «minori» di figli sottratti e affidati altrove, come la storia del bambino di due anni affidato a un uomo con precedenti penali e morto affogato in piscina o la storia delle bimbe affidate a una comunità il cui presidente si rivelò essere un pedofilo. La donna si è rivolta al tribunale di Milano citando ministero della Giustizia, assistenti sociali del Comune e chiedendo tre milioni alla stessa comunità. Secondo la psicoterapeuta Graziella Mercanti, che da anni lavora come psicologa al carcere Bassone di Como, «è la sindrome dell’abbandono il vero problema della separazione tra madre e figlio». Ogni anno quaranta bimbi entrano in carcere al seguito delle madri. Un passo in avanti è stato fatto nel 2001, quando la legge Finocchiaro ha introdotto modifiche al codice di procedura penale, favorendo l’accesso delle mamme con minori a carico alle misure alternative. E permettendo la permanenza di bambini fino ai sei anni, non più in carcere, ma in istituti a custodia attenuata denominati Icam. Sono tre in Italia, uno a Milano, uno a Venezia e uno a Cagliari, strutture più simili ad abitazioni, dove gli agenti penitenziari sono vestiti in borghese e la realtà detentiva è meno percepibile. Secondo gli esperti l’assenza della figura materna per periodi prolungati può determinare conseguenze negative sull’evoluzione di un individuo: insicurezza, scarsa autostima e difficoltà nel mantenere delle stabili relazioni affettive.
L’alternativa è l’adozione, come prevista dalla legge 184/83, che dovrebbe riconoscere il diritto di ogni minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia «ma deve essere un fatto straordinario perché la mera condizione di indigenza della famiglia naturale - ha spiegato l’avvocato Fabio Schembri a Crimen - non può essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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