Un magistrato la arresta l'altro la rimette in libertà

Qual è il pericolo a piede libero?

Un magistrato la arresta l'altro la rimette in libertà

Qual è il pericolo a piede libero? Una terrorista con l'obbligo di dimora, ma con la possibilità di contattare via Internet i suoi compagni di fede e di terrore, pianificando eventuali azioni di guerriglia e attentati oppure il pm che voleva marchiare e sbattere in galera un'innocente? Oppure è il gip che ha scarcerato la donna, che dopo la scossa di terremoto di magnitudo 4 al largo di Palermo, avrebbe affermato: «Questa è la vendetta divina»? Nulla è come prima. La guerra invisibile dello Stato islamico sgretola le nostre certezze, i capisaldi del diritto, fa sponda sulle paure e gioca a scacchi con la fede nella libertà e il desiderio di sicurezza. La storia della ricercatrice libica di 45 anni, accusata di istigazione a commettere atti di terrorismo, che per il pm è così pericolosa da essere rinchiusa in carcere mentre per il gip al massimo merita l'obbligo di dimora, mostra quale sia la nostra realtà: noi non siamo in grado di capire se questa donna sia davvero una terrorista.Questo caso incarna tutte le nostre paure e segna le fragilità di questa stagione. Come mai il pm, convinto che la donna sia pericolosa, non è riuscito a trovare le prove per tenerla in carcere? Non è stato abbastanza bravo? O la legge non fornisce a chi indaga gli strumenti adeguati? E il gip è stato troppo fiscale o davvero non poteva fare altrimenti? Certo che se per aiutare i magistrati a «formarsi» meglio sul fenomeno jihadista, come ha raccontato alcuni giorni fa Fausto Biloslavo su questo Giornale, la Scuola superiore della magistratura organizza un solo corso, allora tutto diventa più difficile. Il motivo spiegato nella presentazione è chiaro: «Scandita dagli attentati, la disciplina antiterrorismo costituisce un vero e proprio sottosistema della giustizia penale». Purtroppo la prestigiosa Scuola offre poco altro sull'argomento. Di terrorismo, infatti, si parlerà brevemente soltanto nel corso su «Religione-Diritto-Satira». Questo nonostante al sistema di formazione dei magistrati concorra anche il ministero della Giustizia. In compenso, però, ha raccontato sempre Biloslavo, viene ripetuto, dopo il grande successo dello scorso anno, il corso sull'«immagine della giustizia nell'arte, nel cinema, nella letteratura».La questione è seria e forse il guaio maggiore è che non siamo pronti ad affrontare una situazione come questa. Se c'è un punto dove siamo più vulnerabili, questo è il versante della giustizia: l'Italia, le sue leggi, si confrontano con un nemico nuovo, diverso perfino dal terrorismo rosso e nero degli anni '70, con integralisti fanatici che non temono la morte e sono pronti a farsi saltare in aria o sparare sulla folla come martiri.

Come ci si difende da nemici così assoluti e imprevedibili? Quante garanzie si possono concedere? È il paradosso della società aperta: fino a che punto si può essere tolleranti con gli intolleranti? La risposta è che una società aperta non è suicida, non è spalancata. Non può essere tollerante fino alla morte. È arrivato il momento di difendersi dal terrore islamico con tutti i mezzi. E servono nuove leggi. Per non morire o sopravvivere nella paura.

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