"La mia arte senza braccia tra ballo, scultura e pittura"

Simona Atzori, 43 anni, è un'artista milanese con una peculiarità. "Sì, sono senza braccia. Un limite? No, solo una caratteristica"

"La mia arte senza braccia tra ballo, scultura e pittura"

43 anni, ballerina, pittrice e scrittrice. Simona Atzori, milanese e figlia di genitori sardi, sorride mentre racconta la sua storia. Una storia di forza e determinazione che porta in giro per l’Italia, quando tiene i tanti incontri motivazionali e parla con i giovani nelle scuole. Simona dipinge con la bocca, usa il cellulare con i piedi e in auto, il volante lo impugna muovendo le gambe. Racconta che, quando è nata, “le sue braccia sono rimaste in cielo”. Ma lei, che qualche anno fa ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica dal presidente Napolitano, non intende arrendersi nella battaglia contro i pregiudizi. La sua disabilità l’ha superata attraverso l’arte. E mentre racconta la sua storia, lancia un messaggio: “La vera diversità sta negli occhi di chi guarda”.

Ballerina, pittrice e anche scrittrice. Un’arte speciale, che si manifesta senza l’uso delle braccia. Una mancanza che è diventata opportunità.

“I miei genitori l’hanno colta subito. Sono nata senza braccia, e questo mi ha permesso di intraprendere un grande percorso. Ho capito che non avere gli arti superiori per me non è un limite, ma una caratteristica. Ho realizzato che avrei comunque dovuto fare tutto ciò che era dentro di me. Per questo la danza, la pittura e la scrittura non potevano incontrare limiti. L’arte è il mio tramite, il mio mezzo per raccontare che tutti noi abbiamo ciò che ci serve per esprimerci. Non ci manca nulla, perché ognuno di noi è unico e speciale”.

La danza per lei è un mezzo di comunicazione.

“Mi piace chi in scena riesce a trasmettere emozioni e a raccontare di sé, oltre alla tecnica e al talento. Adoro sentire l’anima che parla. Mi è capitato di vedere la danza a livelli esigui, ma di percepire che oltre la tecnica c’è del grande sentimento, e che ballare non è semplicemente esibirsi”.

Lei si sente un esempio?

“No. Me lo dicono gli altri. Io sento solo una grandissima responsabilità soprattutto verso i più giovani. Più che un esempio mi piacerebbe essere una storia da conoscere e da tenere con sé come spunto per la vita. Io vivo con molti esempi dentro di me. In fondo, è bello dare ma anche ricevere”.

In uno dei suoi due libri si parla della mamma. Che importanza ha avuto per lei?

“È stata fondamentale, è la persona che ha creduto in me sin dal primo sguardo. Mamma e papà sono stati scelti per essere i miei genitori, la vita li ha messi davanti a una prova difficile. Quando ero piccola, prima di dirmi ‘No’ mia madre si è sempre chiesta ‘Perché no?’. A lei devo tutto. Mi ha amata, e in alcuni momenti ha vissuto davvero in simbiosi con me. È stata la prima a credere che nella mia vita, nonostante tutto, avrei potuto fare tante cose. Mi ha fatto capire che la sofferenza non deve fermarci, ma è semplicemente un’attesa, che serve a scoprire che cosa si nasconde nel ‘dopo’ della nostra vita. E il suo esempio è vivo, anche se lei non è più qui con me”.

Qual è il messaggio più bello della sua storia?

“Spesso chi mi guarda si concentra nel capire cosa riesco a fare. Ma alla fine ciò che conta è la semplicità che ogni giorno vivo nella mia vita. La bellezza di ciò che ho e di ciò che sono. Questo voglio trasmettere, e mi piacerebbe che chi mi ascolta provasse ad accettarsi per quello che è, e a riconoscere ciò che la vita dà a ciascuno di noi. Noi non siamo il nostro corpo, ma siamo ciò che conteniamo. Avere o non avere le braccia è solo uno strumento che si limita all’apparenza”.

Ci sono stati dei momenti di difficoltà?

“Sì, ce ne sono stati tanti e ce ne sono anche oggi. Ma sono la mia forza, mi aiutano a scoprire tutta la mia fragilità. Se le difficoltà non avessero bussato alla mia porta, oggi sarei un’altra persona”.

L’incontro con Papa Francesco e con Giovanni Paolo II. Che cosa hanno lasciato questi momenti?

“La sensazione di grande umanità che va oltre il loro ruolo. Da loro ho imparato che il valore degli altri non si manifesta attraverso la loro apparenza, ma attraverso il cuore e l’anima che riusciamo a percepire”.

La fede è stata un aiuto determinante. Come?

“Lo è stata nel capire che la vita è un dono, e che se sono stata disegnata e creata in questo modo è perché tutto doveva andare così. Non succede tutto per caso, tutto ha un senso, che noi dobbiamo vivere fino in fondo. Giovanni Paolo II diceva: ‘Prendi la vita nelle tue mani e fanne un capolavoro’. Dovremmo farlo tutti, al di là della fede. Io ci provo ogni giorno”.

Tanti incontri in giro per l’Italia. Qualche riscontro che ha lasciato il segno?

“Un giorno ho tenuto una conferenza in una scuola. L’insegnante era preoccupata perché temeva che i ragazzi non prendessero con il giusto spirito l’incontro. Ad un certo punto un alunno si è alzato e mi ha chiesto: ‘Ma tu come fai ad abbracciare?’. Gli ho spiegato che uso le gambe, invece delle braccia. Lui allora mi ha chiesto se potevo abbracciarlo”.

La disabilità oggi. C’è la giusta consapevolezza?

“La società fa fatica a capire che noi non siamo come appariamo. Credo che ognuno di noi sia in cammino per capire che la vera bellezza non è quella del nostro corpo. Io ci credo, credo in una consapevolezza che può maturare nel tempo”.

Se a leggere ci fosse una persona disabile o in difficoltà per motivi di salute, cosa si sentirebbe di dirle?

“Le manderei un grande sorriso, perché i gesti spesso parlano più delle parole. Siamo tutti connessi, nessuno è solo. Anche se le difficoltà spesso ci fanno sentire abbandonati. Io ci sono, per tutti, e soprattutto per chi ha voglia di condividere qualcosa con me”.

Dopo i due libri pubblicati, c’è qualcosa in cantiere?

“Sto scrivendo il mio terzo libro, che parlerà di un viaggio molto profondo. Ho tanta voglia di raccontare e mi piacerebbe coinvolgere molte persone”.

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