Quel mistero sulla morte di Moro: "Prigioniero in un'ambasciata vicino via Caetani"

È quanto emerge dagli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro: forse il politico democristiano trascorse gli ultimi giorni della sua prigionia nella cantina di una rappresentanza diplomatica non lontana da via Caetani

Quel mistero sulla morte di Moro: "Prigioniero in un'ambasciata vicino via Caetani"

Dalla desecretazione degli atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, che si è conclusa lo scorso dicembre emergerebbe una nuova sconcertante verità su uno degli omicidi che ha segnato la storia d’Italia.

Il presidente della Democrazia Cristiana, rapito da un commando delle Brigate Rosse in via Fani il 16 marzo del 1978 ed ucciso dagli stessi terroristi rossi dopo 55 giorni di prigionia, potrebbe aver trascorso gli ultimi giorni della sua vita nella cantina di un’ambasciata del centro di Roma, proprio nelle vicinanze di via Caetani, dove fu fatto ritrovare il corpo del politico democristiano.

Secondo le carte e le dichiarazioni ottenute dalla Commissione, e raccolte dall’Huffington Post, nel sequestro Moro potrebbe esserci stato il coinvolgimento di un Paese straniero. Ad affermarlo sono diverse persone informate sui fatti, da monsignor Fabio Fabbri, amico di Don Cesare Curioni, cappellano delle carceri e vicino a Papa Paolo VI, fino a politici e magistrati. Fu proprio Curioni a confessare a monsignor Fabbri che il giorno del ritrovamento di Moro, i pantaloni del politico erano sporchi di terriccio. Lo stesso che, secondo Don Curioni, si trovava nella cantina di una rappresentanza diplomatica, ora non più attiva, non lontana da via Caetani.

All’epoca nel quadrante si trovavano l’ambasciata argentina e cilena presso la Santa Sede e la residenza dell’ambasciatore del Brasile, che ancora adesso ha sede in Palazzo Caetani. A paventare il coinvolgimento di un’ambasciata straniera nel sequestro era stato anche Ugo Pecchioli, esponente del Pci. Un’informazione, questa, annotata all'epoca dalla giornalista Sandra Bonsanti e finita sotto la lente d’ingrandimento della Commissione. Pecchioli però parlò dell’ambasciata Cecoslovacca, che a quei tempi non si trovava nella zona di via delle Botteghe Oscure, ma nella parte nord della città. Anche la brigatista Fulvia Miglietta, secondo l’Huffington Post, all’inizio degli anni ’80 avrebbe confessato al magistrato Luigi Carli che Moro sarebbe stato tenuto prigioniero in un luogo non lontano da quello in cui fu poi ritrovato il cadavere. Un particolare, questo, appreso durante una riunione di alcuni aderenti al gruppo terrorista e in linea con quanto sussurrato in casa propria anche dal sottosegretario Nicola Lettieri, che nei giorni del sequestro era a capo del comitato di crisi del ministero dell’Interno.

Secondo le dichiarazioni rese alla Commissione nel 2017 dal figlio, il professor Gaetano Lettieri, il sottosegretario in più di un’occasione avrebbe confessato che sulla prigione di Moro “ci eravamo seduti sopra”.

Ma quale ambasciata straniera avrebbe avuto interesse a collaborare con i terroristi? E perché? Le risposte non sono ancora arrivate dalle indagini della Commissione parlamentare. Ma se queste informazioni fossero confermate, a distanza di quarantun’anni si aprirebbe uno scenario nuovo e ancora più inquietante sulla morte del politico della Dc.

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