A volte la Storia è spietata, ti mette davanti alle bugie che hai raccontato, alle follie che hai coltivato, alle menate che hai dichiarato, alle contraddizioni che hai celato. È quello che sta capitando ai 5 Stelle e ai loro vertici. Immaginate un soggetto politico nato sul giustizialismo, sul fiancheggiamento senza «se» e senza «ma» dei magistrati (basta guardare alle riforme di Bonafede), sullo slogan «onestà, onestà» come se le persone probe fossero solo i suoi militanti e tutti gli altri dei delinquenti, che muore in Tribunale. Di carte bollate. Per le regole che autonomamente si è dato e che inopinatamente ha violato.
È la vendetta della Storia. Il fallimento di un modo di vedere la politica, di interpretarla, di farla. Non è più il movimento dell'uno vale uno, ma un meccanismo che tritura leadership, personalità, principi e valori. In questa prospettiva Giuseppe Conte, l'avvocato d'affari che dovrebbe cibarsi di cavilli - sospeso dal vertice dei 5 Stelle per una decisione del tribunale di Napoli - per i giudici sul piano delle regole è a tutti gli effetti un usurpatore. Una condizione che lo trasforma anche in una figura tragica sul piano politico. E chi ne prende il posto, o meglio chi torna al vertice? L'indagato Beppe Grillo: anche qui per qualsiasi garantista non ci sarebbe nulla da eccepire, ma i sacerdoti del giustizialismo ad oltranza dovrebbero imporsi almeno una riflessione sul veleno che hanno sparso in passato.
La verità è che sta venendo giù tutto un mondo. E il granellino di sabbia che ha mandato in tilt il meccanismo perverso sono gli esposti o le querele di semplici militanti, per lo più sconosciuti, espulsi dal movimento. Quelli che hanno creduto davvero al teorema dell'uno vale uno e lo hanno messo in pratica mandando in crisi quelli che lo avevano solo teorizzato. Ora c'è da chiedersi se qualcosa nascerà da queste macerie, o se qualcosa almeno resterà. La crisi appare irreversibile e, per alcuni versi, letale. La metamorfosi profonda è per alcuni versi paradossale: Luigi Di Maio, il personaggio delle origini, il primo leader, è diventato l'immagine del grillismo di governo, di quello che si è abituato alle regole del Palazzo e forse ne è stato inghiottito; mentre Giuseppe Conte, l'avvocato d'affari, il professionista della società civile, scelto anche da Di Maio come nome potabile per Palazzo Chigi, ora tenta di rappresentare, con tutti i suoi limiti, il grillismo d.o.c.
Più che uno scambio di ruoli è la rappresentazione del caos che regna nel movimento o in ciò che ne resta. Un movimento che, invece, di avviarsi verso un nuovo inizio, sembra che si stia contorcendo in una lunga agonia.
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