Alla maggior parte delle persone la parola «radioattività» incute timore e porta alla memoria gli incidenti alle centrali nucleari di Chernobyl e Fukushima. In realtà, la radioattività è un fenomeno naturale. Gli atomi instabili di alcuni elementi (isotopi), si trasformano (decadono) spontaneamente in altri elementi, stabili o a loro volta radioattivi, emettendo particelle (radiazioni) di diversa natura (alfa, beta, gamma). Tale processo è riscontrabile nelle radiazioni cosmiche che giungono sulla Terra, nell'acqua, nelle rocce, nel corpo umano e anche negli alimenti.
Queste particelle possono essere però di energia e quantità tali da rappresentare un rischio per la salute. Per questo motivo è necessario proteggersi dalle radiazioni.
Numerosi scienziati, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, si sono impegnati nello studio della radioattività e dei fenomeni a essa associati. Da allora la conoscenza sulla radioattività è cosi aumentata da permettere, oggi, una sua applicazione in numerose pratiche della nostra vita quotidiana: produzione di energia elettrica, apparecchiature mediche per diagnosi e cure, apparecchiature industriali, attività di ricerca. L'utilizzo della radioattività e delle sue proprietà comporta, però, la produzione di materiali radioattivi che, quando non possono essere più utilizzati, diventano rifiuti radioattivi e devono essere gestiti in maniera adeguata. Per farlo correttamente gli scienziati hanno definito diverse categorie di rifiuti, che si distinguono proprio per la presenza dei diversi radionuclidi e per i loro conseguenti tempi di decadimento. I rifiuti radioattivi possono dunque essere di bassissima attività, con tempi di decadimento al massimo di qualche anno, di bassa e media attività, con un decadimento massimo di circa 300 anni, oppure di alta attività, con tempi di decadimento nell'arco di millenni.
I rifiuti di bassissima attività possono essere immagazzinati in spazi appositi per poi essere smaltiti per le vie convenzionali. Nei casi di rifiuti a bassa e media attività o ad alta attività è necessario ricorrere a centri di stoccaggio specializzati. All'estero da tempo sono stati realizzati, o sono in via di realizzazione, appositi depositi nazionali dove gestire questi rifiuti in modo sicuro ed efficiente. Solo in Europa ne sono censiti 27. Al momento, in Italia non esiste ancora un'infrastruttura di questo tipo e i rifiuti radioattivi sono stoccati in decine di depositi temporanei, tra cui quelli presenti nei 9 impianti nucleari che Sogin, società pubblica interamente controllata dal ministero dell'Economia e delle Finanze, sta smantellando: le 4 centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina e Garigliano e 5 impianti nucleari legati al ciclo del combustibile: l'Eurex di Saluggia, l'impianto FN di Bosco Marengo, l'Itrec di Rotondella e gli impianti Opec e Ipu di Casaccia. Gli altri fanno capo a società industriali e enti di ricerca.
Dopo anni che se ne parla, è ora in fase di decollo il progetto di un Deposito Nazionale italiano in cui sistemare in via definitiva i rifiuti radioattivi a bassa e media attività e in via temporanea quelli ad alta attività, in attesa di una collocazione finale in un sito geologico profondo. Il Deposito Nazionale permetterà la sistemazione dei rifiuti radioattivi prodotti in Italia con un significativo incremento della sicurezza e l'ottimizzazione della loro gestione, risolvendo un problema che altrimenti ricadrebbe sulle generazioni future.
Inoltre, consentirà di terminare lo smantellamento dei nostri vecchi impianti nucleari. Questa infrastruttura sorgerà nell'ambito di un Parco Tecnologico dove saranno svolte ricerche a livello internazionale nel settore del decommissioning e della gestione dei rifiuti radioattivi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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