Nigeria, ora un vescovo si schiera per i muri anti-immigrazione

Monsignor Kukah, vescovo incaricato in Nigeria, è favorevole a un "muro di confine" per la nazione africana. Sempre più evidente il divario tra le posizioni degli occidentali e degli africani sul tema dell'immigrazione

Nigeria, ora un vescovo si schiera per i muri anti-immigrazione

Un'altra voce che si leva dall'Africa. Un altro vescovo preoccupato per le sorti della sua nazione, in questo caso la Nigeria, per cui mons. Matthew Haasan Kukah vedrebbe bene un "muro di confine". La Chiesa africana, in questi anni, non si è nascosta: dal "chiudere i rubinetti" del cardinale Peter Turkson a "la Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è divenuta la migrazione di massa", del cardinal Robert Sarah. Quale miglior parere, del resto, di quello di coloro che, più degli altri, devono fare i conti con gli effetti e con le conseguenze del macro fenomeno migratorio? Valgono tanto per quelli che partono quanto per coloro che arrivano. Anche l'ultimo presule a dire la sua può essere inserito in questo novero. Per quanto abbia più che altro parlato delle politiche adottabili nel suo Stato.

Nell'intervista rilasciata al quotidiano Crux, il vescovo Kukah ha infatti dichiarato che "un muro di confine - come quello approvato dal presidente Donald Trump - sarebbe una buona idea per la Nigeria". E questa del riconoscimento mosso nei confronti del presidente degli Stati Uniti è quasi una novità assoluta per gli ambienti ecclesiastici. The Donald non vanta troppe simpatie negli episcopati, né negli States né altrove. Monsignor Kukah, a dirla tutto, ha pure affermato che dovendo scegliere opterebbe volentieri per "i ponti", ma ha aggiunto che le nazioni devono possere il diritto di "regolare l'immigrazione". Quasi come se a parlare fosse un esponente di Visegràd. E l'immigrazione? "Nessuno può romanticizzare la migrazione con tutti i suoi pericoli, ma è la manifestazione ultima del nostro stato di disperazione".

Che esista un problema interno, insomma, appare innegabile.

Almeno per tanti vescovi incaricati nel continente africano, che non hanno affatto un approccio acritico nei confronti delle partenze di molti loro concittadini.

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