Non scriviamo sotto dettatura

Più passano le ore e più questa cosa dei parlamentari che accedono al bonus povertà dell'Inps sa di trabocchetto organizzato da Di Maio e soci con la complicità del loro uomo messo a capo dell'Inps

Non scriviamo sotto dettatura

Più passano le ore e più questa cosa dei parlamentari che accedono al bonus povertà dell'Inps sa di trabocchetto organizzato da Di Maio e soci con la complicità del loro uomo messo a capo dell'Inps, quel Pasquale Tridico famoso per non riuscire a pagare la cassa integrazione agli aventi diritto. Siamo sotto elezioni regionali, i partiti di governo (Cinque Stelle e Pd) sono in affanno nei sondaggi, e poi c'è da distrarre dai fallimenti ormai quotidiani del governo. Ecco l'ideona: Conte si inventa la favola del tunnel sotto lo stretto di Messina e i suoi scagnozzi scovano cinque parlamentari disgraziati dell'opposizione (ma forse sono solo tre) che non avendo alcun senso della dignità e del ridicolo hanno chiesto il bonus povertà nonostante i dodicimila euro di stipendio mensile garantito anche in tempi di lockdown, ed ecco che magicamente si scavalla Ferragosto a parlare di favole (il tunnel) e di cretini (i seicento euro), invece che di soldi che non arrivano, di Mes, di decreti rilancio «salvo intese» e di colpe del governo nella gestione della prima emergenza Covid.

A occhio questa è una invenzione, ma non vorrei dargli troppi meriti, di quel genio di Casalino, braccio destro e stratega del premier nella comunicazione e non solo. Noi siamo i primi a essere indignati e a voler andare fino in fondo, ma nello stesso tempo non vorremmo farlo sotto dettatura di un signore, Pasquale Tridico dell'Inps, che potrebbe distillare nomi e sospetti per conto di un partito di governo. Se il presidente vuole fare chiarezza su un uso non illegale ma immorale di una norma peraltro decisa dal suo amico Conte, ha una sola strada, ammesso che possa percorrerla: apra la banca dati dell'Inps e permetta a chiunque di andare a controllare chicchessia. Perché, detto onestamente, noi non ci fidiamo delle sue scelte, né di quelle dei suoi datori di lavoro. I quali, in quanto a trasparenza e correttezza, non possono certo ergersi a giudici delle debolezze umane, né tanto meno rivendicare un'insofferenza verso il vil denaro, neppure se parliamo di spiccioli.

Lo dimostra l'alto numero di parlamentari grillini che si rifiutano di versare le (stupide) trattenute pattuite con il partito al momento della candidatura. A Di Maio e alla sua famiglia (come si evince dalle disavventure del padre), gli euro non hanno mai fatto orrore. Soprattutto se arrivano dalle tasche dei contribuenti.

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