Una norma di civiltà per fermare la gogna

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. C'è un pezzo di magistratura convinta che la maggior parte degli italiani siano dei mascalzoni

Una norma di civiltà per fermare la gogna
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Il lupo perde il pelo ma non il vizio. C'è un pezzo di magistratura convinta che la maggior parte degli italiani siano dei mascalzoni, che ha capovolto la massima per cui si è innocenti fino a prova contraria con il suo opposto, cioè che si è colpevoli fino a quando non si dimostra la propria innocenza. Un filone giudiziario che ci ha regalato «perle» da citare in un manuale di storia della civiltà del diritto alla rovescia: da quella di Piercamillo Davigo per cui i politici sono «solo colpevoli non ancora scoperti»; a quella sfornata dall'ex pm di Palermo Roberto Scarpinato, ora senatore 5stelle, sul provvedimento approvato ieri a Palazzo Madama che introduce nuove norme sull'uso delle intercettazioni su smartphone: ha insinuato che ne «potrebbero beneficiare pure i malintenzionati». Anche per lui, quindi, qualsiasi cittadino è «un malintenzionato» fino a prova contraria.

In realtà queste uscite dovrebbero far riflettere se si tiene conto della natura del provvedimento approvato ieri dal Senato. Non si tratta, infatti, di un favore ai malandrini, come teorizzano gli apprendisti giacobini o i seguaci del «giustizialismo ontologico», per usare un'espressione di Matteo Renzi, ma appunto di una norma di civiltà elementare, che difende la «privacy» di ogni persona e non la lascia alla mercé dei media o di qualche ricatto. Il provvedimento, infatti, prevede che i pm non possano usare come vogliono tutto quello che trovano nella memoria degli smartphone sequestrati - dalle conversazioni alle foto, dalle cartelle cliniche ai conti correnti o a quant'altro -, ma solo ciò che riguarda l'indagine in corso e possano deciderlo solo d'intesa con il giudice. È la minima garanzia che si deve dare in uno stato di diritto ad un cittadino, visto che ormai da qualche anno nei telefonini trovi tutto ciò che riguarda l'esistenza di un individuo.

È un provvedimento che, tenendo conto dell'uso che si fa dello smartphone, è arrivato anche tardi, ma meglio tardi che mai. Si può dire che il legislatore fosse obbligato ad intervenire sulla materia, per aggiornare la norma ai tempi e alla tecnologia. Altrimenti qualsiasi pm avrebbe continuato ad avere non la sacrosanta facoltà di indagare su un crimine, ma di spiare la vita degli altri, un po' come facevano i tribunali del popolo e la Stasi nella Germania dell'Est ai tempi del Muro di Berlino. O, peggio, di rovistare nel privato di una persona con il rischio di darla in pasto ai giornali o a qualche centrale di dossieraggio. Roba che non ha nulla a che vedere con la giustizia.

Una vera e propria patologia dell'indagine giudiziaria che si è già verificata in passato. Basta pensare alle inchieste scaturite anche da questo modo perverso di utilizzare le intercettazioni che hanno coinvolto parenti stretti e lontani e il circolo degli amici di Matteo Renzi, tutte finite in assoluzioni. Oppure quanto accaduto al primo firmatario del provvedimento, il forzista Pierantonio Zanettin, che si è visto spiattellare sui giornali tutta la sua chat con l'ex presidente dell'Anm Palamara, estranea a qualsiasi indagine.

Si tratta, quindi, di un provvedimento sacrosanto che neppure un Pd pronto a tutto pur di stipulare

un'alleanza con i 5stelle si è sentito di bocciare (il partito della Schlein si è astenuto). Perché, in fondo, sono proprio norme del genere che tracciano la sottile linea rossa che distingue una democrazia da un regime.

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