Quest'anno la festa del babbo dovrebbe essere un bis della festa della mamma. Sono le mamme, infatti, che quasi sempre portano il peso maggiore della situazione: figli a casa, con tutto quello che comporta, e a casa anche il marito, nella maggior parte dei casi quello che non ci sta mai e che quando c'è quasi sempre aggiunge mi prendo a esempio peso su peso. La tendenza tutta maschile a dichiararsi moribondo al minimo sintomo, l'abitudine a trovare tutto pronto anche se la moglie lavora, la tendenza a riservarsi con i figli il tempo dei giochi e non quello dei compiti.
Comunque si continuerà a chiamarla «Festa del Papà», con un vulnus anzitutto linguistico. Nell'Ottocento l'antico e italianissimo «babbo» venne attaccato, come fanno i virus, dal francese «papa», che loro pronunciano con l'accento. Il morbo si diffuse rapidamente, e resistettero soltanto le zone d'Italia dove l'italiano è più saldo. I miei figli mi chiamano babbo, come io chiamavo il mio, e sono stati ben istruiti nella risposta da dare ai compagnucci che azzardano «Babbo Natale?».
Ho insegnato anche a non dare troppo peso a queste feste rituali, inventate più per rinforzare i commerci che per scaldare i cuori. Ma, d'altra parte, perché privarli di una festa che tutti gli altri enfatizzano? Festa del Babbo sarà, dunque, anche domani, in questo stato d'assedio. Nicola e Pietro Guerri hanno certamente già pronti i loro doni, per la prima volta non comperati con i soldini risparmiati, bensì fatti in casa, con le loro manine. È già un risultato benefico della nuova situazione.
Sforzandoci di trovare il buono (che c'è), possiamo cominciare dal maggiore rispetto per il cibo, nel timore che possa mancare da un momento all'altro. C'è anche la maggiore possibilità di istruirli - senza le corse del mattino per arrivare in orario a scuola - a una maggiore partecipazione al riordino della loro stanza, rifarsi i letti eccetera. Poi viene l'organizzazione della giornata, vastissima, in cui ognuno deve darsi regole e tempi, quelli per studiare e quelli per giocare, quelli per la lettura e quelli per l'otium. E che i giochi non siano soltanto su internet e schermi vari, ma anche all'antica e comunitari. Noi abbiamo riscoperto Monopoli, Scarabeo e persino scopa e briscola.
Stavolta il povero babbo l'«uomo forte», protagonista della difesa della famiglia dal mondo esterno è impotente, l'unica cosa che può fare a protezione è sbarrare le porte e alzare i ponti levatoi. Un po' poco, per apparire eroici come si dovrebbe. Allora trasmetta il suo sapere, molto più di quanto faccia di solito. Pietro, otto anni, ha scritto ieri il suo primo articolo, una recensione a un libro (ma qui c'è molto lo zampino di mamma Paola, diva ex machina); Nicola, tredici anni, ha imparato che quando una ragazza gli scrive per chat «Mi piaci», la risposta giusta non è «Grazie!», anche se gli abbiamo insegnato che bisogna ringraziare sempre. (E pure qui c'è lo zampino di mamma Paola, senza la quale niente procede e niente migliora).
Eccoci dunque giunti al punto della comunità familiare, dove il rischio di cadere in una retorica a buon prezzo è altissimo. Il tempo del coronavirus dovrebbe essere quello della vicinanza, della comunione, della conoscenza reciproca.
È inutile sbrodolare oltre su questo punto (è più facile prevedere che porterà a un aumento improvviso delle cause di divorzio). Sia così, dunque: vogliatevi bene, che significa anche avere maggiore pazienza.Buona Festa del Babbo.
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