La patria della minigonna mette il burqa alla bellezza

Il sindaco di Londra Sadiq Khan islamicamente corretto. Tra poco censureranno abche le Veneri dell'arte

La patria della minigonna mette il burqa alla bellezza

Prove di sottomissione nel sottosuolo. È passato poco più di un anno dall'uscita di Submission di Michel Houellebecq, il romanzo che prefigura l'islamizzazione democratica della società europea (grazie a libere elezioni, dunque, non ad attentati) ma le conferme politiche di quell'incubo letterario sono già innumerevoli. L'ultima viene da Londra: il neosindaco molto democraticamente eletto, il musulmano anglo-pakistano Sadiq Khan, ha censurato una pubblicità apparsa nella metropolitana, un cartellone escogitato per vendere prodotti dimagranti grazie alle grazie di una bellissima donna fotografata in bikini giallo. Ovviamente magra, altrimenti che prodotto dimagrante sarebbe, ma innanzitutto tonica e per nulla anoressica. Fosse stata fotografata in burkini, l'inguardabile costume da bagno islamicamente corretto, una specie di muta che consente di nuotare senza mostrare nudità sgradite ai seguaci del profeta, il sindaco neobraghettone non avrebbe avuto nulla da obiettare. Perché il dichiarato obiettivo della censura sono i paragoni tra la supermodella e le donne comuni: se Renee Somerfield (si chiama così questo dono dell'Australia al mondo) fosse stata ricoperta dal burkini non ci sarebbe stato il rischio di confronti impietosi e quindi tutto a posto. Con l'avanzata di un simile modo di ragionare non solo la pubblicità, anche l'arte è a rischio. Da che mondo è mondo gli artisti utilizzano modelle che, come dice il nome, non rappresentano la media femminile bensì un ideale formale, un canone estetico.

Avete presente la Venere di Willendorf? La famosa statuetta raffigura una Venere steatopigia, ovverosia culona, siccome 25mila anni fa la grassezza faceva bellezza: l'adipe nelle epoche di fame aiuta a sognare la prosperità. Oltre che culona, la Venere di Willendorf è tettona e chissà quante donne paleolitiche dalle curve poco pronunciate si saranno turbate per il confronto. Dimenticavo, è anche nuda, prova che a Willendorf, nell'odierna Austria, dovevano vedersela magari con le tigri dai denti a sciabola ma non coi sindaci maomettani.

Tutte le veneri della storia, da quella di Milo a quella di Botticelli, sono nude o seminude, oltre che stupende, e alcune sono proprio porno, come la Venere callipigia che si può ammirare nel museo archeologico di Napoli, almeno fino a quando la visita di un potente islamico non suggerirà a qualche zelante funzionario di coprirla, sulla scia di quanto successo al Campidoglio per la visita di Rouhani (altro episodio degno di Submission). Non solo il paganesimo, pure il cristianesimo ha fornito abbondanti materiali ai turbamenti maschili e femminili: grazie alla Bibbia, che non è il Corano iconoclasta, possiamo vedere nei musei vere e proprie passerelle di carni, sequenze di quadri eroticissimi intitolati «Susanna e i vecchioni», «Le figlie di Lot», «Giuseppe e la moglie di Putifarre»...

Secoli anzi millenni di esaltazione del corpo femminile che sembrano sul punto di evaporare se perfino nella Londra che fu swinging, nella capitale dell'edonismo che inventò la minigonna, i Sex Pistols, i Libertines e Kate Moss, ci si inchina di fronte alla censura che viene dal deserto.

Perché ovviamente non si tratta di un episodio, d'ora in poi sulla morigeratezza della pubblicità londinese vigilerà un comitato composto da «membri della società civile che riflettano la diversità di Londra» (traduzione: che rappresentino la crescente presenza demografica islamica). E su quella della pubblicità milanese? Sala se diventasse sindaco si porterebbe in consiglio comunale l'islamicissima e copertissima Sumaya Abdel Qader: fossi il proprietario di Yamamay comincerei a preoccuparmi.

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