La piaga del "noismo"

Diciamo un chiaro e netto no agli alfieri del No. È il momento del cambiamento, non dei sabotatori

La piaga del "noismo"

C'è una pericolosa ideologia che, da decenni, paralizza il corpaccione malandato della nostra Italia. È un «ismo» e no, non stiamo parlando né di fascismo né di comunismo, ma del «noismo». Cioè la folle ossessione al boicottaggio, il riflesso condizionato che fa partire - come il calcio dopo la martellata del medico sul ginocchio - sempre e comunque un «no». No alla Tav, alla Tap, ai rigassificatori, al nucleare, al taglio del cuneo fiscale, alla riforma della giustizia. No a tutto, specialmente all'intelligenza, a giudicare dagli effetti di questa non cultura sulla nostra economia. Badate bene, il «noismo», nella sua totale avversione ad ogni forma di cambiamento, non ha nulla a che vedere con il conservatorismo. È, anzi, una forma di sclerotizzazione della politica. La paura ossessiva del cambiamento. Una coazione a ripetere, ampiamente annaffiata dall'ideologia grillina della decrescita felice e dalla sinistra più paranoica che, purtroppo, ha attecchito anche altrove. Basti pensare al caso del rigassificatore di Piombino e all'ostracismo di una parte del centrodestra. Perché l'Italia è il Paese dei mille campanili e dei centomila cortili, nei quali, come è noto, nessuno vuole far passare mai un tubo (nel senso idraulico del termine), un binario o un traliccio. Così l'Italia cortilizzata finisce per rimanere paralizzata.

Ieri, in ordine sparso, Salvini, Giorgetti e Bonomi hanno attaccato il sistema del «noismo». Il leader della Lega ha provocatoriamente detto che si metterebbe una centrale nucleare sotto casa; il ministro dello Sviluppo economico ha ricordato, per l'appunto, che non è il momento dei «no» pregiudiziali e il presidente di Confindustria ha spronato il governo a fare le riforme e tagliare il cuneo fiscale, non tra un mese, ma domani. Temiamo che molti di questi appelli siano destinati a cadere nel vuoto. La politica fa tanto baccano quando si tratta di operazioni ideologiche e di bandiera, che di solito interessano pochi (vedi Ius Soli e ddl Zan), e poi diviene silente e bizantina quando è necessario prendere provvedimenti che riguardano i più. Una iattura in tempo di pace, una catastrofe durante una guerra. E, proprio il conflitto, ha evidenziato quanti siano maiuscoli i danni che la (non) cultura di chi boicotta tutto ha inflitto a questo Paese.

Dalle colonne di questo Giornale abbiamo sempre sostenuto grandi opere e riforme - dalla Tav, al Fisco fino alla giustizia - necessarie per far ripartire l'Italia. Ma ora diciamo un chiaro e netto no agli alfieri del No. È il momento del cambiamento, non dei sabotatori.

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