Si sono riuniti nell'aile du Midi, lì dove un tempo i cortigiani aspettavano il risveglio del re sole. Ci sono tutti i rappresentanti del popolo francese, deputati e senatori, per una legge che segna una svolta filosofica nella sensibilità occidentale. La scelta di Versailles appare stonata per quello che sta accadendo. È il simbolo del vecchio regime, assoluto e battezzato da Dio, dove i diritti universali sono un embrione da far nascere nel sangue della rivoluzione. È qui comunque che di solito si riunisce l'Assemblea nazionale. È qui che durante la Terza e Quarta repubblica si eleggeva il presidente. Questa volta invece si vota per inserire l'aborto in Costituzione. La Francia è la prima nazione al mondo che fa questo passo. È l'orgoglio di Emmanuel Macron (nella foto), una firma con cui si aspetta di lasciare un segno nella storia. È l'enfasi con cui il primo ministro Gabriel Attal commenta questa giornata. «Abbiamo un debito morale verso tutte le donne che hanno sofferto nella loro carne per gli aborti illegali». È la reazione della Chiesa cattolica: non può esistere il diritto a sopprimere una vita. È la Francia, paladina dell'Europa, che sembra rispondere alla sentenza della Corte suprema Usa che quasi due anni fa lasciò ai singoli Stati il diritto all'aborto, segnando un solco tra le due sponde dell'Occidente.
L'aborto in Costituzione è il superamento di un confine e mette in gioco la coscienza individuale e collettiva, e scuote fedi, ragioni, ideologie, sentimenti e visioni del mondo. Ci vorrebbe il senso del tragico per coglierne la portata, ma questo tempo ne è privo e allora tutto viene derubricato come un atto dovuto, come il riconoscimento di una morale che ha scartavetrato i dubbi e va a testa rasata e rotonda verso il pensiero facile, quello che spacca in due ogni questione: questo è il buono, l'altro è il cattivo. Non è mai tutto così semplice. La legge ordinaria è sacrosanta, ma l'aborto in Costituzione ha un significato molto più profondo. L'aborto è un diritto universale e inalienabile? È questo il dilemma personale. È come il diritto alla vita, all'uguaglianza davanti alla legge, libertà di movimento, di pensiero, di espressione, di coscienza e religione? È come il diritto all'istruzione, alla salute, alla proprietà privata? È davvero come tutti gli altri diritti imprescrittibili? No, non è solo una questione di abitudini. No, non è solo che i tempi cambiano e i diritti si aggiornano. Non è neppure un peccato di patriarcato. È che il diritto all'aborto è un diritto di secondo grado, di sponda, di compromesso. Non è un reale diritto assoluto. È invece il punto di caduta tra due diritti, questi sì, inalienabili. Il diritto sovrano della donna sul proprio corpo che incrocia il diritto alla vita di un feto. Quale dei due prevale? La risposta è dipende. È il compromesso che ricorre, con termini e condizioni diverse, in tutte le legislazioni occidentali. In Italia è 90 giorni o entro i 5 mesi per l'aborto terapeutico. In Francia sono 14 settimane e in Gran Bretagna 24. La sensibilità europea ha digerito, con una certa fatica, l'idea che un feto di sei mesi non sia un bambino. È chiaro che per tanti questa pratica legale ancora assomiglia a un omicidio.
C'è un punto allora dove l'aborto diventa assassinio? Dopo i tre mesi, i quattro, i sei. E se fosse fino ai nove? L'ipotesi è agghiacciante. Qui il diritto delle donne sul proprio corpo troverebbe, forse, un limite invalicabile. L'aborto legale è un compromesso. La Costituzione non è la sua casa naturale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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