"Rischio a chiedere i biglietti, se vogliono viaggino gratis..."

Fare il capotreno come andare in trincea. C'è chi a far rispettare le regole ormai a rinunciato. "Devo stare attento alla pelle"

"Rischio a chiedere i biglietti, se vogliono viaggino gratis..."

Milleottocento euro al mese più gli straordinari, per fare su e giù tra Milano e Voghera, passando sempre per le stesse file di posti, a fare la stessa domanda ogni giorno: "Biglietti non visti?". Un lavoro come tanti da controllore, che normalmente non dovrebbe implicare particolari disagi, se non la sgarbatezza di qualche viaggiatore, ma che rischia di diventare ogni giorno una nuova battaglia.

All'indomani dell'aggressione a Carlo Di Napoli, capotreno aggredito l'altra notte a cui hanno quasi staccato un braccio a colpi di machete, è La Stampa a raccontare la storia normale di un suo collega, uno per cui "il pericolo è diventato un mestiere", senza che fosse previsto nel contratto.

"Fino al 1998 sui treni eravamo in due più il macchinista", racconta il capotreno, che ricorda come al momento dell'aggressione ci fosse anche un collega insieme a Di Napoli e credo che solo per questo si sia evitato un morto. Il catalogo delle violenze e degli abusi contro chi fa il loro mestiere è ormai un libro piuttosto corposo. E senza protezione in molti hanno deciso che il gioco non vale la candela.

"Ho la responsabilità dei viaggiatori e devo pure stare attento alla mia pelle - racconta il capotreno -.

E sa cosa dico? Che in certe condizioni io il biglietto non lo chiedo più. Se vogliono viaggare gratis lo facciano". Un gesto di resa? Può darsi. Ma nessuno paga questi uomini per rischiare minacce verbali e aggressioni.

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