Se il populismo chiude bottega

In attesa che gli storici indaghino sul peso della pandemia nei cambiamenti politici in Europa, per ora si segnala la crisi generale di quei movimenti generalmente e superficialmente considerati "populisti di sinistra".

Se il populismo chiude bottega

In attesa che gli storici indaghino sul peso della pandemia nei cambiamenti politici in Europa, per ora si segnala la crisi generale di quei movimenti generalmente e superficialmente considerati «populisti di sinistra». Dai 5 Stelle a Podemos, passando dai Pirati tedeschi e Syriza, le forze anti-sistema di estrazione più socialista sono in caduta libera, mentre quelle più nazionaliste e di destra (finora meno coinvolte nella responsabilità di governo, Lega esclusa) ancora tengono. Ognuno ha i suoi guai specifici, ma il contesto è comune: la loro offerta politica di decrescita e assistenzialismo non incontra più le esigenze degli elettori.

Se la politica è l'outlet delle idee e il bazar delle soluzioni, non tutti i partiti «vendono» la stessa merce. Ci sono realtà storiche, tradizionali, magari esauste e in crisi di identità, ma che rispondono ad afflati senza tempo come l'uguaglianza, la conservazione, la libertà. E poi ci sono realtà sorte per dare risposte contingenti, i «temporary shop» della politica, che offrono quel che va di moda e occorre in un certo momento, come i negozi di dolciumi sotto Natale. Funzionano e sono utili. Ma se a gennaio non cambiano business rischiano di fallire.

I movimenti nati dagli Indignados spagnoli o dal Vaffa-Day hanno avuto un ruolo innegabile. Segnalavano che il corpo politico era malato e che l'indomani della crisi economica era una palude. Perciò sono stati premiati nelle urne dal 2015 al 2018, andando al governo sia nelle città (Roma, Torino, Madrid, Barcellona), sia nei Parlamenti. Ed è allora che si sono dimostrati intrinsecamente deboli. Perché chi segnalava i sintomi del morbo, poi non sapeva curare il paziente.

Se Podemos è passato dal 21% al 7% e il leader Pablo Iglesias ha lasciato, il M5s si è dimezzato (sia nei voti, dal 32% al 16, sia nella leadership dicotomica) e il movimento dei Gilet gialli - la cui anima di sinistra è discutibile - è scomparso, significa che gli europei non pensano più che le loro ricette siano utili in questo tempo di rinascita e ripartenza economica. Così come l'Ukip inglese ha perso senso dopo la Brexit, anche la loro missione è - se non compiuta - almeno giunta a un punto morto.

La mobilitazione dal basso serve a fare pressione sulle istituzioni. La politica a corto raggio - non è anti-politica - cavalca richieste che somigliano a tendenze, dal disgusto per la corruzione all'ambientalismo. Ma quando poi entra nelle istituzioni, dove il focus si sposta su visione globale e competenza, allora si sfalda. La mancanza di struttura organizzativa e teoria politica solida si fa sentire; gli interessi di parte, le clientele e le lotte di potere interne prendono il sopravvento. E il messaggio iniziale di protesta e rivoluzione diventa una mesta ammissione di impotenza.

Così, davanti a un «temporary shop» che offre merce demodé, i clienti ridanno fiducia ai partiti tradizionali, con le loro magagne e i loro vizi, ma con un progetto di costruzione e una classe dirigente in cui tornare a sperare. Almeno fino al prossimo ciclo di delusione e illusione collettiva.

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