È proprio vero, per rimettere a posto il nostro sistema giudiziario c'era bisogno di un pm. È il pedigree che differenzia Carlo Nordio dai tanti predecessori che negli ultimi quarant'anni hanno tentato di rimettere ordine invano in un settore in cui da decenni le gerarchie sono saltate, come pure i ruoli, in un meccanismo perverso di bracci di ferro e prove di forza. Il fatto che l'attuale Guardasigilli provenga dalla categoria che più di altre ha esondato dai propri poteri, che ha fatto il bello e cattivo tempo in giustizia come in politica, cioè i pubblici ministeri, è un punto di forza, perché ne conosce limiti, ossessioni e ambizioni. Soprattutto non subisce i timori, le minacce più o meno velate, le intimidazioni che hanno spesso tenuto al guinzaglio il Parlamento e bloccato una riforma degna di questo nome.
Quella del ministro Cartabia, ad esempio, anche se è intervenuta su temi importanti - come l'andirivieni di magistrati tra tribunali, Procure, Camera e Senato - si è tenuta distante dai nodi cruciali, cioè quelli che hanno permesso ai pm di avere il sopravvento sul resto del mondo togato e di condizionare non poco le fasi politiche. Parlo dell'uso smodato delle intercettazioni e della separazione delle carriere fra giudici e pm, questione di cui si parla nei convegni, mai in Parlamento. Sono argomenti che possono determinare una svolta, la fine di un'epoca in cui l'equilibrio dei poteri previsto dalla Costituzione è stato messo a repentaglio senza che nessuno abbia potuto - e saputo - opporsi efficacemente.
Nordio il coraggio lo ha. Lo si comprende dalla chiarezza del suo disegno che non sta appresso alle fumisterie che spesso hanno accompagnato riforme molto declamate ma che non hanno portato risultati. E si arguisce dalla determinazione con cui persegue il suo progetto, che ha messo in allarme tutti quelli che sono interessati a mantenere lo «status quo».
A cominciare dalla corrente dei magistrati di sinistra, le «toghe rosse», che hanno accusato il ministro di volere comprimere il ruolo dei pm. Un altolà preventivo che dimostra l'irrequietezza di chi vede messo in discussione il ruolo di protagonista di cui ha goduto in questi anni. Nei quali, con avvisi di garanzia e indagini basate sul nulla, si facevano saltare governi e si distruggevano carriere politiche o imprenditoriali. O, ancora, ne è prova il nervosismo con cui la sinistra, la parte politica che più è stata favorita da certa magistratura, ha cominciato ad erigere barriere, rifiutandosi di aprire un confronto. Anzi, l'ex responsabile Giustizia del Pd, Walter Verini, si è lasciato andare ad una previsione che non promette niente di buono: «Ricomincerà la guerra tra politica e toghe».
Era prevedibile. È una guerra di potere e ricomporre l'equilibrio non sarà semplice, né indolore.
Molto dipenderà dalla capacità della maggioranza di centrodestra di restare unita e magari di coinvolgere una parte dell'opposizione che, non fosse altro per esperienze provate sulla propria pelle (Renzi), è più sensibile a questi temi.
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