Sette anni dopo: fate prestissimo

Napoletano avverte il Paese: "Il governo svende la nostra sovranità"

Sette anni dopo: fate prestissimo

Ho scritto questa lettera agli italiani perché ritengo che continuare a stare zitti non sia più consentito. Il tempo che permette di minimizzare tutto è scaduto da un pezzo. Mi sono fatto il mio giornale quotidiano per tutta l'estate, non ne so fare a meno, e ne è venuto fuori Apriamo gli occhi.

Nel novembre del 2011 dirigevo il Sole 24 ore e feci un titolo a caratteri cubitali, «Fate presto», perché erano in gioco il lavoro e il risparmio degli italiani per più di una generazione. Il nostro Paese era alle prese con il primo Cigno nero della sua storia economica, portato in «dote» dalla crisi di credibilità e dalle divisioni del governo Berlusconi sotto il peso di un macigno che si chiama debito pubblico, ma ancora di più dalla crisi sovrana greca non capita e mal gestita e dai giochetti libici e finanziari dei cugini francesi. Qualcosa che ha determinato, in casa nostra, una delle più clamorose fughe di cervelli conosciute da un Paese dell'Occidente e danni superiori a quelli di una terza guerra mondiale persa. Senza l'atto risolutore del Cavaliere bianco, il presidente della Bce Mario Draghi, e il suo celebre whatever it takes, la mossa giusta nel momento politicamente perfetto e il suo «coraggio americano» consegnato alla storia, non ne saremmo mai usciti.

Oggi, con lo stesso rigore e con la stessa passione, dico: apriamo gli occhi. Questa volta il Cigno nero, per quanto potrà apparire incredibile, lo stiamo fabbricando da soli con le nostre mani, anzi, per la precisione, con le nostre bocche. Prime, seconde e terze file del governo gialloverde si sono messe a giocare con le parole un giorno sì e l'altro pure. Risultato: qualcuno, anzi, più di qualcuno, nel mondo e in casa, ha cominciato a prenderci sul serio e ha messo al sicuro i suoi risparmi, è uscito dal portafoglio italiano, è scappato dal rischio Paese tutto politico e fatto esclusivamente di parole.

L'aumento dei rendimenti dei nostri titoli sovrani nell'arco di tempo che va da metà maggio alla fine di agosto è decisamente significativo e i titoli di Stato italiani diventano i più cari dell'eurozona, secondi soltanto a quelli della Grecia. Per essere chiari: non era mai accaduto, nemmeno nel 2011.

Poi è successo qualcosa di più: abbiamo visto un corteo di bandiere bianche sotto Palazzo Chigi, mezzo governo grillino affacciato al balcone e un vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, che annuncia euforico: è finita che i soldi li abbiamo trovati, è finita che è arrivata la manovra del popolo e abbiamo eliminato la povertà, senza mai dire che i soldi li ha trovati (forse) a deficit, accendendo un nuovo debito sulla testa di ognuno di noi quasi come alzandoci la rata del mutuo che dovremo pagare addirittura per una casa che non compreremo.

Vogliamo davvero continuare a stare tutti zitti e lasciare che il primo governo sovranista-populista, magari senza neppure rendersene conto fino in fondo, indebolisca a tal punto la reputazione della firma sovrana da far perdere all'Italia la sua sovranità, consegnando le chiavi del paese alla Troika i commissari della Commissione europea, della Bce e del Fondo monetario internazionale e quelle della cassaforte italiana, le Generali, agli odiati-amati cugini francesi, ovviamente a prezzi di saldo?

No, questo è troppo, forse anche per un popolo di cinici come noi. Questa volta non può bastare pensare solo al portafoglio e mettere al sicuro fuori dall'Italia i propri risparmi. Non ha senso nascondere la realtà, anzi sarebbe da irresponsabili, sia perché si è ancora in tempo per porvi rimedio sia perché dietro il governo gialloverde c'è la rappresentanza politica dell'interesse di un popolo che esprime qualcosa di profondo, parla all'Europa e merita rispetto. Per essere ascoltati e completare il disegno degli Stati Uniti d'Europa, bisogna essere persone serie e bisogna dimostrarlo nelle parole e nei comportamenti. Senza il rispetto degli altri si grida al vento e si aumenta il prezzo dei sacrifici che gli italiani dovranno tornare a sostenere proprio quando quella stagione volgeva, di suo, al termine.

Ricordiamoci ogni mattina e ogni sera che tornano a volteggiare nel cielo italiano i soliti avvoltoi francesi, l'immancabile Christine Lagarde del Fmi e il commissario europeo Pierre Moscovici sono molto preoccupati, Emmanuel Macron parla pericolosamente della Siria e di Assad esattamente come faceva Sarkozy della Libia e di Gheddafi. Per quanto insopportabili tutti e tre e indubbiamente di cattivo presagio, è bene che sia chiaro a tutti che se dovesse tornare il Cigno nero italiano questa volta sarebbe autoindotto, lo avremmo fabbricato noi con il nostro vaniloquio e, una cosa è certa, non ci sarà un altro Cavaliere bianco, non può esserci e non ci sarà. Apriamo gli occhi e facciamoci sentire. Aiuteremo il cambiamento. Quello vero.

Aiuteremo il cambiamento a diventare effettivo, a scendere dalla luna in terra, a fare i conti con la realtà o, alternativamente, avremmo almeno contribuito a evitare la deriva. Quella greca, prima di tutte.

Apriamo gli occhi.

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