Dal quinto giorno della guerra in Medio Oriente (12 ottobre 2023, con l'articolo titolato «Che cosa otterrà l'invasione di Gaza da parte di Israele?»), ho cercato di spiegare e persino di prevedere gli eventi in corso, guidato dalla certezza che questa guerra non poteva essere fondamentalmente diversa dalle precedenti guerre di Israele, che risalgono al 1947 e che hanno portato a una vittoria israeliana decisiva attraverso sconfitte iniziali, aspre controversie politiche e molta confusione.
Non avremmo assistito alla caduta di Aleppo se la forza complessiva dell'Iran non fosse stata devastata dall'annientamento da parte di Israele dei suoi alleati di Hezbollah e dallo schiacciamento delle difese aeree di Teheran. Per questo la caduta di Aleppo suggerisce che il regime iraniano stesso potrebbe crollare, se questa guerra dovesse continuare per qualche altro round.
La situazione era molto diversa quando tutto è iniziato il 7 ottobre 2023 con l'attacco a sorpresa di Hamas e il leader iraniano Ayatollah Khamenei che allegramente vaticinava l'imminente distruzione di Israele.
D'altronde, da sempre tutte le guerre di Israele sono state accompagnate da una costante fiducia dei suoi nemici nella imminente vittoria. Tra la prima e l'ultima guerra, quando il presidente egiziano Abdul Gamal Nasser inviò l'esercito egiziano nel Sinai nel maggio 1967 e impose un blocco del Mar Rosso, sapendo che Israele avrebbe combattuto, accolse con favore l'opportunità: «Gli ebrei minacciano la guerra. Noi diciamo loro che siete i benvenuti. Siamo pronti alla guerra». I combattimenti iniziarono il 5 giugno e l'esercito e l'aviazione egiziana crollarono in quattro giorni.
Nell'ultima guerra, il riuscitissimo attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre è stato accolto con reazioni entusiastiche e senza riserve non solo da parte di folle esaltate, ma anche da parte di professori statunitensi di ruolo, come Joseph Massad della Columbia, che l'ha definito «meraviglioso». L'8 ottobre, Hezbollah si è unito con fiducia alla guerra lanciando il primo di migliaia di razzi e missili, ricordando la profezia ottimistica del suo leader Hassan Nasrallah, per cui «Israele non è più forte di una tela di ragno».
Un altro elemento di continuità è che il primo ministro israeliano di turno è sempre visto come il peggior leader possibile per il Paese in tempo di guerra, o forse per qualsiasi Paese in qualsiasi momento. Alla vigilia della guerra del 1967, il premier e ministro della Difesa era Levi Eshkol, un fedele uomo di partito con l'atteggiamento di un contabile stanco, che rispondeva alle fragorose minacce di annientamento dei leader arabi con parole incerte e inficiate da un difetto di pronuncia, finché la popolazione furiosa non costrinse a promuovere a ministro della Difesa il suo principale nemico politico, l'eroe di guerra guercio Moshe Dayan. Quella fu la guerra che si concluse con la totale sconfitta dei nemici di Israele in soli sei giorni di combattimento.
Nella Guerra dello Yom Kippur dell'ottobre 1973 il primo ministro era Golda Meir, alla fine molto celebrata come una delle pioniere del Paese, ma all'epoca aspramente criticata per aver rifiutato l'autorizzazione agli attacchi aerei quando le offensive a sorpresa di Egitto e Siria furono imperdonabilmente rilevate troppo tardi per mobilitare l'esercito. Migliaia di morti, ma la guerra si concluse molto bene, con l'esercito israeliano che attraversava il Canale di Suez sulla strada per il Cairo e con entrambi i Paesi pronti a passare da un cessate il fuoco a una pace duratura.
Nella guerra del Libano del 1982, che spinse l'esercito dell'Olp con carri armati e artiglieria fuori dal Libano, il primo ministro Menachem Begin fu platealmente incapace di controllare il ministro della Difesa ed eroe di guerra Ariel Sharon. Tutti concordarono sul fatto che Begin fosse assolutamente inadatto alla carica, come nel caso del primo ministro Ehud Olmert nella guerra del 2006 contro Hezbollah. Con una formazione da ufficiale inferiore, Olmert permise al Capo di Stato maggiore, appartenente all'aeronautica, di condurre una guerra di bombardamenti che non uccise molti combattenti di Hezbollah, ma scatenò in compenso una guerra di propaganda a livello mondiale, quando i giornalisti libanesi sotto il controllo di Hezbollah presentarono all'opinione pubblica i combattimenti come un massacro di donne e bambini, senza mai menzionare gli uomini armati. Proprio come a Gaza dopo il 7 ottobre.
In questa guerra, Netanyahu è stato pre-condannato politicamente per la sua disponibilità ad accettare due imbarazzanti ultra-estremisti nella sua coalizione di governo, per raggiungere i 61 voti di una maggioranza risicata nel Parlamento israeliano di 120 seggi, e ulteriormente condannato dai «progressisti» israeliani per il suo tentativo di riformare il sistema giudiziario con la nomina di giudici da parte dei ministri della Giustizia, in contrapposizione ai giudici più anziani. Netanyahu è così odiato dai suoi oppositori infinitamente frustrati - le sue continue manovre di coalizione lo hanno tenuto al potere per due decenni - che persino la sua riforma giudiziaria, perfettamente democratica, è stata travisata come un «golpe giudiziario» in innumerevoli manifestazioni. I suoi nemici hanno trovato molti simpatizzanti negli Stati Uniti, ma non in Europa, dove tutti i giudici sono nominati da ministri eletti dal governo e non da giudici più anziani.
Un'ultima accusa che Netanyahu non può negare: avendo formato il suo primo governo di coalizione il 18 giugno 1996, a cui ne sono seguiti altri cinque ma con brevi interruzioni, Netanyahu è stato al comando nei due decenni in cui Israele non ha cercato di fermare Hamas mentre costruiva la sua vasta rete di tunnel da combattimento, né Hezbollah mentre accumulava migliaia di missili da bombardamento sempre più efficaci e decine di migliaia di razzi. L'unico rimedio possibile era quello di prevenire entrambe le minacce prima del 7 ottobre 2023, lanciando offensive massicce sia con le forze di terra sia con quelle aeree, ottenendo la sorpresa di attaccare in un giorno perfettamente tranquillo, senza crisi o provocazioni precedenti. Ma in realtà nessun governo democratico può fare una cosa del genere, tanto meno quello di Netanyahu, ogni decisione del quale viene immediatamente interpretata come del tutto egoistica, oltre che ovviamente del tutto sbagliata.
I critici che continuano a trovare nuovi modi per deplorare i due decenni di vergognoso abbandono, non notano però cos'altro è successo in quei vent'anni. L'economia israeliana ha fatto un balzo in avanti (gli israeliani, un tempo molto più poveri della media europea, sono diventati molto più ricchi), sono stati forniti rifugi antiaerei ben costruiti ovunque, evitando decine di migliaia di vittime solo nella guerra in corso. Con uno sforzo immane, Israele ha anche acquisito affidabilissime difese missilistiche balistiche «spaziali» che nessun altro Paese possiede. I combattimenti a terra hanno inoltre rivelato che i veicoli blindati israeliani sono attualmente i più avanzati al mondo, mentre il raid aereo contro la base iraniana più segreta di Parchim ha dimostrato la capacità di Israele di lanciare attacchi di precisione a lungo raggio anche con i suoi caccia F-16 più vecchi e a corto raggio, grazie ai loro missili balistici lanciati in aria. Completamente surclassati, i leader iraniani sanno ora che qualsiasi altro bombardamento missilistico contro Israele potrebbe evocare il bombardamento della sede di Khamenei a Teheran o, più concretamente, del principale terminale di esportazione del petrolio del Paese.
Niente di tutto ciò è bastato a evitare la terribile sorpresa e le uccisioni di massa del 7 ottobre, ma i due decenni di investimenti in tecnologie militari hanno fatto sì che il numero di vittime israeliane nei successivi 14 mesi di combattimenti urbani - normalmente molto letali anche senza i pericoli aggiunti dei tunnel - sia rimasto molto più basso del previsto. Invece di decine di morti o disabili al giorno, la media è di uno o due.
Nel corso di questi due decenni, ci sono stati anche altri sforzi precauzionali, sia da parte degli agenti segreti sia degli ingegneri, che alla fine hanno permesso la decapitazione in tre fasi dell'intera leadership di Hezbollah. Prima sono riusciti a dissuadere dall'uso degli smartphone in quanto irrimediabilmente insicuri, per suggerire invece l'uso di telefoni casuali se sollecitati da avvisi acustici, con nuove radio da campo come back-up. Poi lo stesso ufficiale della Guardia rivoluzionaria iraniana che ha convinto i leader di Hezbollah a privarsi dei loro smartphone facilmente compromessi, ha suggerito dove sarebbe stato meglio acquistare dei cercapersone su misura e anche delle ricetrasmittenti portatili. Quando entrambi hanno iniziato a esplodere, l'intera linea di comando si è dovuta riunire faccia a faccia nel bunker di comando di Hezbollah, a sud di Beirut, ultra profondo, multilivello e in ferrocemento, che nessuna bomba poteva penetrare. Ma dove il colpo di grazia è arrivato con una sequenza di bombe da 2000 libbre con rivestimento in acciaio che sono cadute verticalmente esattamente nello stesso punto, uccidendo Hassan Nasrallah e tutto il suo alto comando, insieme al loro responsabile e supervisore delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Una mossa che a sua volta ha reso impossibile il bombardamento concentrato di Israele, pianificato da tempo da Hezbollah con migliaia di missili e più di centomila razzi. Al contrario, l'aviazione israeliana ha così potuto distruggere le batterie di missili e razzi con attacchi aerei giorno dopo giorno, fino al cessate il fuoco.
La guerra rivela i veri punti di forza e di debolezza di ogni nazione, inducendo i suoi nemici alla giusta cautela. Il religioso al potere in Iran e i suoi generali della Guardia Rivoluzionaria, rigorosamente non rasati, si sono finora rifiutati di accettare le prove schiaccianti della superiorità militare di Israele su tutta la linea, così come i sostenitori più accesi della vittoria totale dei palestinesi «dal fiume al mare» in tutto il mondo. Poiché non partecipano mai ai combattimenti, gli entusiasti stranieri non possono mai essere dissuasi, anche se incitano i palestinesi che finiscono prigionieri o morti.
I leader iraniani non sono né studenti ingenui né accademici sprovveduti.
Avendo subìto la pesantissima conseguenza di un attacco aereo di un solo giorno da parte di una manciata di aerei, è probabile che si ritirino prudentemente. Se non lo faranno, ciò che è iniziato con la caduta di Aleppo potrebbe continuare fino in fondo e poi proseguire in Iran. Tutti i regimi devono finire, anche quello iraniano.
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