Lo slalom parallelo di Luigi e Matteo

La partita allo specchio tra Di Maio e Salvini è ufficialmente iniziata: ora i due si studiano tra mosse e contromosse

Lo slalom parallelo di Luigi e Matteo

La partita allo specchio tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini è ufficialmente iniziata ieri. D'altra parte sono loro i vincitori indiscussi della tornata elettorale ed è nelle cose - soprattutto dopo il monito di Sergio Mattarella - che arrivi da loro la prima mossa.

Ne è ben consapevole il leader dei Cinque stelle che, ieri, dalle colonne del Corriere della Sera, ha fatto sapere di essere pronto a cercare intese «con chi ci sta» già a partire dall'approvazione del Documento di economia e finanza che deve essere presentato in Parlamento entro il 10 aprile. Un modo per mettere nero su bianco la disponibilità del M5s a sedersi al tavolo delle trattative.

Lo stesso, qualche ora più tardi, ha fatto Salvini, anche lui conscio che il risultato ottenuto nelle urne gli impone di giocare all'attacco. Non converge sull'apertura di Di Maio, ma prova a tendere una mano al Pd post Renzi. «Spero siano a disposizione - dice il leader della Lega - per dare una via d'uscita al Paese, a prescindere da chi vincerà le primarie». Un modo per smarcarsi decisamente da Silvio Berlusconi, tanto che il neosenatore del Carroccio ci tiene a dire che «se non si forma un governo politico l'unica soluzione è tornare alle urne». Esattamente il contrario di quel che pensa il leader di Forza Italia.

Tra Di Maio e Salvini, insomma, va in scena una sorta di slalom parallelo, con i due a studiarsi tra mosse e contromosse. Con due obiettivi principali: da una parte quello di capitalizzare il successo elettorale e proporsi come king maker dei prossimi passaggi, dall'altra quello di non incrinare il rapporto con il Colle (fortissimo quello del leader dei Cinque stelle, vista la consuetudine con il segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti). Di qui le aperture che, non a caso, in molti considerano tattiche. Quella di Di Maio perché appare piuttosto artificioso immaginare che il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan possa scrivere un Def strizzando l'occhio alle ricette economie del M5s, probabilmente molto lontane dal suo approccio alla materia. Quella di Salvini perché, se davvero si arrivasse ad un governo di centrodestra appoggiato dal Pd, il leader della Lega rischierebbe di essere tacciato proprio di quel trasformismo che ha fino a ieri combattuto. Non è un caso che, nelle sue conversazioni private - con esponenti del Carroccio e con amici di Forza Italia -, Giancarlo Giorgetti dica, senza troppi giri di parole, che «un esecutivo a guida Salvini sostenuto da Renzi e dalla Boschi non è pensabile». Scenario che, peraltro, esclude lo stesso Pd, visto che ieri Ettore Rosato ha ribadito che i dem non sono affatto disponibili e ha invitato la Lega a «governare con chi ha il suo stesso programma». Una chiusura di peso, visto che il padre del Rosatellum è in pole position per la poltrona di capogruppo alla Camera, ovviamente con la benedizione di Matteo Renzi (che, seppure sulla via delle dimissioni, non ha intenzione di mollare la gestione del partito). Alcuni deputati dem, infatti, raccontano che, in queste ore, sia proprio Maria Elena Boschi in persona a caldeggiare la soluzione Rosato.

La giornata delle aperture parallele di Di Maio e Salvini, insomma, rischia di essere più un passaggio tattico che di contenuti. D'altra parte, la partita è ancora lunghissima e, sottotraccia, la trattativa che conta è quelle sulla presidenza del Senato.

La seconda carica dello Stato sarà eletta il 23 o il 24 marzo e se davvero M5s e Lega chiudessero un accordo per spartirsi le presidenze (ai Cinque stelle la Camera, al Carroccio il Senato) allora sì che saremmo davanti ad un dato politico finalmente significativo. Fino ad allora il rischio concreto è che lo stallo continui.

Adalberto Signore

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