Il sopravvissuto: "Vi racconto l'inferno di Rigopiano"

Fabio Falzetta, uno dei sopravvissuti alla tragedia di Rigopiano, racconta le ore prima e dopo la valanga che ha travolto l'hotel di Farindola

Il sopravvissuto: "Vi racconto l'inferno di Rigopiano"

"Ricordo solo la valanga". L'assassina "silenziosa" che il 18 gennaio scorso ha ucciso ventinove persone nell'hotel Rigopiano di Farindola (Pescara).

Così la chiama Fabio Salzetta, uno dei due uomini che quel mercoledì pomeriggio è uscito dall'albergo poco prima che venisse travolto dalla slavina. Era andato a prendere il pellet per ricaricare la caldaia ed è rimasto miracolosamente illeso, al punto da passare cinque giorni ai piedi del Gran Sasso per indicare ai soccorritori dove scavare.

"Mi chiamano eroe, ma gli eroi non hanno paura del buio", dice oggi a Repubblica, "Non riesco più a stare nei luoghi bui, devo dormire con la luce accesa. A ventisei anni...mi credete?". "Eravamo tutti agitati, volevamo andarcene", racconta, parlando delle ore precedenti la tragedia, "Era l'effetto del terremoto. Quattro scosse forti. Avevano diffuso il panico infatti gli ospiti si erano messi nelle stanze con i tetti in legno. Volevamo scappare, ma la strada era completamente bloccata dalla neve. Dalle 8 del mattino mi ero messo a spalare nel parcheggio dietro l'hotel... Continuavo a spalare perché sapevo che a un certo punto sarebbe arrivato lo spazzaneve".

Lo stesso spazzaneve che nei giorni prima era arrivato puntuale tra le tre e le cinque e che invece quel giorno non si è visto, costringendo gli ospiti a restare un altro giorno nel resort a quattro stelle. "Non potevano sapere che sarebbe diventata la loro tomba", spiega Salzetta, raccontando che il direttore dell'hotel chiedeva ai suoi dipendenti di tranquillizzare i turisti: "Era impossibile. Anche perché noi eravamo più nervosi di loro"

Poi una montagna di neve si è abbattuta sulla struttura. "È stato un attimo. Ho messo tutti e due i piedi dentro il locale caldaia, ed è arrivata", spiega. È stato più fortunato degli altri tre colleghi (Giancaterino, D'Angelo e Faye Dame) che con lui stavano trasportando i sacchi di pellet: "Non li ho nemmeno sentiti gridare. Sono i primi che abbiamo ritrovato, morti. Nella stessa posizione in cui erano quando è arrivata".

Una valanga "silenziosa", un "fruscio forte, come la neve che cade da un tetto troppo pieno", che ha sommerso tutto. "Mi sono accorto che era successo qualcosa solo perché si sono accese le luci di emergenza", racconta ancora il giovane, "La porta non si apriva, ero ancora convinto che fosse solo caduta la neve dal tetto. Gridavo, ma nessuno rispondeva. Ho trovato un martello e ho cominciato a picchiare come un matto sulle inferriate alla finestra. Non so quanto ci ho messo, parecchio comunque. Alla fine le ho spaccate, e sono uscito aggrappandomi al tronco di un faggio che non capivo perché era lì. Poi sono salito sul tetto e l'hotel non c'era più Mi sono venuti i brividi: stavo camminando sul tetto dell'hotel. Lì sotto, sotto i miei piedi, c'erano gli altri, c'era Linda, mia sorella".

Poi l'incontro con Giampiero Parete e le telefonate per chiamare i soccorsi. "E non ho ancora capito perché non ci hanno creduto subito", racconta Falzetta, "Ma sono molte le cose che non ho ancora capito.

Perché solo adesso hanno deciso di dare in tv i bollettini sul rischio valanghe? La temperatura quella notte non era bassissima, uno due gradi sopra lo zero, mentre nei giorni precedenti era meno 10. Le valanghe si prevedono, basta comunicarlo".

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