Stadi aperti e violenza ultrà: ecco cosa non ci era mancato

Hanno riaperto gli stadi, ma sarebbe meglio chiudere gli zoo, ad evitare che escano le bestie. Bestie umane soprattutto

Stadi aperti e violenza ultrà: ecco cosa non ci era mancato

Hanno riaperto gli stadi, ma sarebbe meglio chiudere gli zoo, ad evitare che escano le bestie. Bestie umane soprattutto. Dovremmo vergognarci di leggere e sopportare quel che ci racconta la cronaca da stadio. Sono stati 18 mesi di astinenza dal calcio in diretta. Ci siamo battuti tutti, federazione e club, politica, giornalisti, tifosi, per poter ritrovare l'abitudine del sedersi e godersi lo spettacolo, ritrovare il brivido. Eppoi cosa ci racconta la cronaca? In Francia, partita Nizza-Marsiglia, una rissa da film con invasione di campo. E a Verona, dopo Verona-Inter, appena fuori dallo stadio, una animalesca caccia all'uomo. Anzi, ad un papà e al suo figliolo. I malcapitati, Fabrizio Nonis, conduttore televisivo, più famoso come il «gastronomo errante», ed il figlio ne sono usciti malconci, spaventati, pestati, si parla di uno zigomo fratturato e di un timpano perforato. Colpevoli di essere tifosi dell'Inter, ovvero della squadra avversaria. In questi casi non conta chi sei, cosa fai. Conta solo che tu sia il nemico. Nemico purtroppo. Non tifoso di un altro club. Ed allora viene da chiedere: valeva la pena battersi per riaprire gli stadi, val la pena credere che l'animalesca indole di certi gruppi teppistici - i tifosi sanno essere più nobili - abbia ancora partita vinta, almeno fuori campo? Sarebbe utile che, riaprendo gli stadi, si riaprissero anche le patrie galere. Che taluna gentaglia venisse acchiappata anzitempo. E non fuori tempo. Sappiamo tutti che, da millenni, si parla della violenza intorno al calcio e allo sport. Possiamo rifarci perfino a Tacito che, negli Annali, racconta di un episodio di rivalità tra tifosi antagonisti capitato a Pompei nel 59 d.C. (gli altri erano di Nocera) in occasione di uno spettacolo gladiatorio: finì con corpi mutilati o segnati da ferite, o con la morte di figli e genitori. Le battaglie fra gladiatori fanno pari con le sfide calcistiche odierne. Da allora la storia è ricca (si fa per dire) di questi racconti.

Però stavolta credevamo tutti che la pandemia avesse calmato gli animi, riaperto i cuori al credo tifoso e non al credo violento. Illusi. La dizione «calcio malato» è solo un alibi. Malate sono certe teste: sarebbe civile affidarle ad una gabbia e ritornare agli stadi per tutti. La speranza è l'ultima a morire.

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