Diciotto anni di carcere e una sanzione di quasi 10 milioni di euro. È la condanna al "capitano" del barcone che il 18 aprile 2015 affondò mentre - carico di migranti - attraversava il Canale di Sicilia. Una strage costata la vita a oltre 700 morti e con soli 28 sopravvissuti.
Il tunisino Mohamed Alì Malek, di 29 anni, è stato condannato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, omicidio colposo plurimo e naufragio, mentre il suo "mozzo", il siriano Mahmud Bikhit di 27 anni, dovrà scontare 5 anni di carcere solo per favoreggiamento all'immigrazione clandestina. I due sono stati giudicati col rito abbreviato dal gup del tribunale di Catania Daniela Monaco.
Entrambi durante il processo hanno sempre sostenuto di essere innocenti. Per i pm il naufragio fu causato da una serie di concause, tra cui il sovraffollamento dell'imbarcazione e le errate manovre compiute dal comandante Malek, che portarono il peschereccio a collidere col mercantile King Jacob, intervenuto nel mare al largo della Libia per soccorre imigranti. Il barcone e i corpi incastrati nel natante sono stati recuperati quasi un mese e trasferiti nel porto di Melilli (Siracusa), con un'operazione disposta dal ministero della Difesa e coordinata dalla Marina militare.
608px;">Oggi poco prima della camera di consiglio, Malek, ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee e dinanzi al giudice ha detto: "Sono stato due anni e mezzo in Italia e ho un figlio piccolo avuto con un'italiana: la voglio sposare e voglio riconoscere il bambino. È la verità. L'ho sempre detta, così come ho subito fatto il mio nome e affermato che ero un passeggero". Il giudice non gli ha creduto.
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