Tre camorriste italiane nella "hit" delle donne boss

Nella lista mondiale delle dieci "capesse" più violente, spiccano tre "femmine d'onore". L'allarme della polizia: sono sempre più potenti e dieci volte di più

Tre camorriste italiane nella "hit" delle donne boss

Una carrozzina vuota. Le tute bianche della polizia scientifica la circondano di lettere e segni sull'asfalto. Il bimbo è stato risparmiato. Ma per la sua mamma, nessuna pietà. Nunzia D'Amico, 37 anni, è appena stata crivellata di colpi. Sulla carrozzina schizzi di sangue. Due giorni fa, Napoli, quartiere Ponticelli. Nunzia è la sorella di Salvatore, Giuseppe e Antonio D'amico, boss dell'omonimo clan, detto dei «fraulella» (le fragoline).

Dopo che tutti e tre i fratelli sono stati arrestati, è toccato a lei reggere gli affari del clan. Compito che Nunzia ha assolto al «meglio», tanto da meritarsi un'esecuzione di camorra in grande stile. Di quelle riservate ai boss di prestigio: dieci bossoli sul selciato e un colpo di grazia sparato in faccia.

Non sono sorpresi i vertici della Squadra Mobile partenopea: «Qui le donne hanno assunto un ruolo chiave nelle attività di camorra. Da gregarie si sono trasformate in protagoniste, spesso perfino più violente e ciniche dei loro uomini. Mariti, figli e fratelli camorristi ormai si fidano ciecamente delle donne di casa, delegando a queste “capesse“ perfino la gestione dei business più delicati».

Un fenomeno in crescita, ben fotografato dalle parole di Raffaele Marino, ex procuratore di Torre Annunziata: «Non credo sia un'esagerazione affermare che per ogni donna attiva all'interno dell'organizzazione criminale all'inizio degli anni Novanta, oggi ce ne siano almeno dieci». E con carriere sempre più brillanti, tanto da contendere agli uomini la leadership del clan. Altro che sesso debole.

In territori come Torre Annunziata l'Osservatorio sulla camorra ha accertato che il trend femminile delle «quote rosa» è in costante crescita, tanto che in alcuni aree le «femmine di rispetto» hanno superato i gli «uomini di panza».

Droga, prostituzione, usura i mercati in cui le donne si fanno valere di più, anche se gli ultimi processi ai clan hanno dimostrato che in molti casi il loro parere è stato decisivo anche per condannare a morte numerosi «infami». Fondamentale resta poi il ruolo di raccordo con i capi rinchiusi in carcere: i boss danno ordini da dietro le sbarre e loro - mogli, sorelle, figlie, fidanzate - si preoccupano di farli eseguire all'esterno. Omicidi, attentati, rapine, pizzo, nulla sfugge alla rete delle «Charlie's Angels» della camorra. Al momento non risultano donne killer professioniste. Ma potrebbe essere solo questione di tempo.

Un'egemonia che non è sfuggita agli esperti internazionali di mafia, camorra e 'ndrangheta che infatti, nello stilare la classifica delle «boss in gonnella» più pericolose, hanno inserito anche tre rappresentanti italiane: Anna Maria Licciardi, ex capo dell'omonimo clan camorristico di Secondigliano (Napoli); Rosetta Cutolo, sorella maggiore dei camorristi Raffaele e Pasquale, considerata l'esponente principale della Nuova Camorra Organizzata; Raffaella D'Altiero, detta «a miciona», dopo la morte del marito e boss Nicola Pianese, nel 2006, prese in mano il comando del clan e insieme Fortuna Iovinelli, detta «a masculona», capeggiò la guerra di camorra a Napoli.

Scrive Paolo Miggiano, laureato in Scienze dell'investigazione e per 34 anni elicotterista della Polizia di Stato: «Due mondi contrapposti e due modi di intendere e di vedere le questioni di camorra. Due frontiere diverse. Da una parte le donne di camorra, mogli e, sempre più spesso, vedove di boss, madri che insegnano ai loro figli ad odiare.

Dall'altra le donne, le mogli, le compagne, le vedove, le madri, le sorelle delle vittime innocenti della criminalità che insegnano ai giovani ad amare e ad avere speranza». Male contro bene. Con il primo, sempre più spesso, a prevalere.

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