Leonardo aveva 19 mesi quando è stato soccorso dai sanitari dell 118 in un appartamento di Corso Trieste, nel quartiere Sant'Agapio di Novara, il 23 maggio del 2019. Sul corpo mostrava i segni di "una violenza inaudita, non degna di un essere umano", quelli che gli avevano inferto la madre e il compagno. A quasi 2 anni dalla tragedia, ieri, entrambi sono stati condannati all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Novara. Nelle chat inviate dalla coppia agli amici, le foto del bimbo completamente tumefatto: "Guarda com'è conciato nostro figlio", scrivevano.
Leo, ucciso a botte
Stando a quanto si apprende dal quotidiano La Stampa, i fatti risalgono alla primavera del 2019, a Novara. La mattina del 23 maggio, i sanitari del 118 intervengono in un appartamento di Corso Trieste, nel quartiere Sant'Agapio: un bambino di 19 mesi, Leonardo, sta male. Tanto, troppo male. Al punto che i medici si insospettiscono e segnalano il caso alle autorità. Il piccolo riporta decine di lesioni al corpo, lividi e ferite profonde. "Una caduta dal lettino", assicurano la madre del bimbo e il compagno. Ma l'esito della autopsia, dopo il decesso, fuga ogni dubbio circa quei segni sospetti sul corpicino di Leo: botte. Botte della peggior specie. Perfino il fegato era tagliato in due dalla colonna vertebrale. Ad ucciderlo sono stati la mamma e il fidanzato, Gaia Russo e Nicolas Musi, ventiquattrenni. Ieri, sono stati condannati entrambi all'ergastolo.
L'orrore nelle chat
Botte, maltrattamenti e molto altro. Negli elementi requisiti ai fini delle indagini dalla squadra di Mobile di Novara c'erano anche delle "chat dell'orrore", in cui la coppia mostrava agli amici foto del bimbo col corpo tumefatto. Millantavano che il piccolo stesse male, lasciando intendere che fosse affetto da chissà quale malattia insanabile nel tentativo di impietosire i destinatari dei messaggi. "Soldi per le medicine di Leo", scrivevano a corredo di un'immagine. E ancora: "Quando Leonardo è morto, io dormivo" quando invece qualcuno reclamava crediti per droga a Nicolas. Nel corso del processo i due si sono rimpallati le responsabilità della tragedia: "Quando Leonardo è morto, io dormivo", la versione di entrambi. Ma il procuratore di Novara, Marilinda Mineccia, non ha mai avuto dubbi sull'efferatezza del delitto: "Una violenza inaudita, non degna di un essere umano".
La condanna all'ergastolo
Ieri, la Corte d'Assise di Novara, ha condannato entrambi gli imputati alla pena massima dell'ergastolo. Alla lettura della sentenza in videoconferenza, il patrigno del piccolo si è disperato. La madre, ai domiciliari in una comunità Torinese, era assente. La Suprema Corte ha accolto la ricostruzione e le richieste del pm Silvia Baglivo. Stabilite anche le pene accessorie come la perdita della patria potestà (i due all'epoca dei fatti aspettavano un figlio insieme) e poi i risarcimenti del danno: 200 mila euro per Mouez Ajouli, padre naturale di Leonardo, parte civile con l'avvocato Alessio Cerniglia, e per Tiziana Saliva, madre di Gaia e nonna del piccolo; 150 mila euro per Chiara, sorella di Gaia; e 100 mila per Gill, padre dell'imputata, questi ultimi tre costituiti parte civile solo contro Musi e rappresentati dall'avvocato Lucia Gallo.
"È stato riconosciuto il nostro lavoro. - ha detto il pm Baglivo - C'era il rischio che le dichiarazioni contrapposte dei due imputati potessero portare a un impasse tale da non riuscire a individuare la colpevolezza".
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