"Gli assassini di mio figlio sono liberi, non posso accettarlo finché vivo". A gridare giustizia è Ebe Pagliari, mamma di Marco Perini, agricoltore 34enne di Abbiategrasso che, 21 anni fa, fu ritrovato con il cranio fracassato in un'ansa del Ticino, a Besate. A colpirlo, secondo i familiari della vittima e i carabinieri della Omicidi, furono due rom finiti nel registro delle indagini lo scorso anno. Nomi e cognomi che avevano riacceso la speranza di mamma Ebe fino a quando, qualche settimana fa, è arrivata l'archiviazione del caso. "Mi dicono di credere alla giustizia, ma quale?", dice la donna al Corriere della Sera.
L'omicidio
Tutto comincia 21 anni fa, il pomeriggio dell'11 maggio 2000. Siamo ad Abbiategrasso, in provincia di Milano. Marco Perini, agricoltore di 34 anni e padre di due splendide bambine piccole, sta lavorando in campagna. Attorno alle ore 15 saluta Angelo, amico e collaboratore, per rincasare. A lui racconta di dover andare a fare la spesa al supermercato poiché la moglie sta allattando la loro secondogenita, nata da poco. Così, monta in sella al motorino, un vecchio Ciao, e si allontana.
Quando arriva a Cascina Meraviglia, dove vive con la famiglia, Marco entra nel garage e ne esce subito dopo "con un rastrello e una vanga", racconta la moglie che ha osservato i movimenti del marito attraverso i vetri della portafinestra che dà sulla strada. Lo vede anche zio Virginio che sta lavorando i campi. Ma poi il 34enne sparisce nel nulla.
A tarda sera, Marco non è ancora rientrato. Allarmati dal ritardo, i familiari cominciano a cercarlo nelle campagne della zona. Il motorino viene ritrovato poco distante dall'abitazione: in sella ci sono due rom che vivono in un accampamento lì vicino. "Lo abbiamo trovato e finché non è finita la benzina lo abbiamo usato", raccontano. Una versione convincente, specie per Angelo, che al pomeriggio ha visto il mezzo abbandonato nel luogo in cui i due stranieri dicono di averlo trovato. A quel punto, mamma Ebe e la moglie del 34enne decidono di allertare i carabinieri.
Dopo 8 giorni di ricerche, il cadavere di Marco viene ritrovato in un'insenatura del Ticino, a Besate. Ha il retro del cranio sfondato, probabilmente è stato colpito con una scure e poi gettato in acqua. Ma chi è stato a sferrargli il colpo mortale?
La pista rom
Inizialmente, le indagini dei militari dell'Arma seguono due ipotesi: quella di una lite con alcuni cacciatori della zona degenerata in tragedia e la pista famigliare. Nessuna delle due circostanze omicidiarie, però, trova riscontro: l'agricoltore non ha né scheletri nell'armadio né conti in sospeso. C'è però un dettaglio che sfugge agli inquirenti del tempo e coinvolge proprio quei due rom ritrovati in possesso del motorino di Marco.
I nomadi di una baraccopoli confinante coi terreni della famiglia Perini, il giorno dopo la scomparsa del 34enne, hanno fatto i bagagli e si sono dileguati di tutta fretta. Inoltre, quel pomeriggio dell'11 maggio, il capofamiglia del clan rom avrebbe riferito a un rottamaio della zona di essere in procinto di partire, così di corsa da regalargli il ferro che intendeva vendergli. Poi, avrebbe dato alla fiamme le baracche.
Nel 2019, una delle residenti dell'accampamento andato a fuoco racconta di sapere chi ha ucciso Marco: "Sono stati i fratelli di mio padre - racconta - lo hanno attirato in una trappola, non ho parlato perché avevo paura". La donna fa risalire il movemente ad alcuni screzi tra la vittima e i presunti killer per l'uccisione di alcuni gatti. Anche sua sorrellastra, raggiunta telefonicamente in Francia, conferma la versione dei fatti.
"Nessuno cerca i killer di mio figlio"
La mole indiziaria raccolta finora sembra lasciare pochi dubbi su un possibile coinvolgimento dei due rom nella drammatica vicenda ma, lo scorso anno, il caso è stato archiviato. Tuttavia, è pur vero che fino a quando i due presunti killer non saranno intercettati e la loro colpevolezza accertata, restano innocenti. "Finché non saranno rintracciati non ci sarà possibilità di provare la loro innocenza, servono attività tecniche, ricerche specifiche, la volontà di rintracciarli, magari anche all'estero", commenta al Corriere della Sera l'avvocato Francesco Campagna, legale della famiglia della vittima.
Sente di esser stata "condannata all'ergastolo" mamma Ebe che ha visto sfumare la verità proprio nel momento in cui i nomi dei sospettati sono finiti nel registro degli indagati. L'unica speranza è ormai affidata a un "rintraccio" inserito nell'archivio delle forze dell'ordine accanto al nome dei due indagati: la richiesta di contattare i carabinieri della Omicidi di via della Moscova qualora i due presunti autori del delitto vengano incidentalmente fermati lungo la penisola.
Per ora, nessuno li cerca.
Niente caccia a tappeto, niente intercettazioni, nessun ulteriore passo ufficiale per rintracciare i nomadi slavi che, secondo la ricostruzione dei carabinieri, sarebbero gli autori dell'omicidio di Marco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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