Vaccino, un operatore sanitario su cinque rifiuta la dose

Casi estremi nelle Rsa di Brescia e Torino dove, per ora, ha detto sì al vaccino solo il 20% circa degli operatori socio-sanitari. In alcune Regioni i dati sono ben più alti

Vaccino, un operatore sanitario su cinque rifiuta la dose

Primi ostacoli in vista in Italia sulla strada che conduce alla campagna di vaccinazione di massa. Anche tra le categorie che lavorano negli ospedali e nelle Rsa vi sarebbe, infatti, un’alta percentuale di persone che, per paura o per altre motivazioni, almeno per il momento rifiuta di farsi somministrare il farmaco contro il Covid-19. In Piemonte, ad esempio, l’Unità di crisi per la pandemia denuncia che solo il 10-20 per cento degli operatori che operano nelle residenze sanitarie assistenziali intende usufruire del vaccino. Ma quanto accade in questa Regione è solo la punta dell’iceberg perché la riluttanza a sottoporsi all’iniezione riguarda anche altri territori.

Il mondo ospedaliero

L’Ansa ha stimato che il 20% dei sanitari, quindi uno su cinque non, intenderebbe vaccinarsi. È bene sottolineare che si tratta di una media e che in alcune Regioni l’adesione ha già toccato punte del 90%. L’obbligo della vaccinazione per ora non c’è ma esiste, soprattutto per coloro che lavorano nei servizi essenziali, la raccomandazione a proteggersi. Per di più non va dimenticato che medici ed infermieri sono tenuti a rispettare il Codice deontologico che vieta comportamenti e pratiche considerate "antiscientifiche".

Nel prossimo futuro, però, non si può escludere una mossa estrema: rendere la vaccinazione obbligatoria. Tutto dipenderà dall'esito della campagna che, simbolicamente,è iniziata lo scorso 27 dicembre. L’obiettivo sarebbe arrivare ad immunizzare il 70/80% della popolazione: con questi numeri si potrebbe raggiungere l'immunità di gregge. Per questo l’adesione volontaria e in tempi rapidi dei cittadini è un elemento fondamentale nella lotta al Covid-19.

Eppure tra coloro che per ora hanno rifiutato di farsi vaccinare non ci sono solo "no vax" o negazionisti. "Il primo monitoraggio negli ospedali è stato fatto prima dell’approvazione dell’Aifa e senza poter leggere il bugiardino, ecco perché alcuni operatori hanno deciso di aspettare", ha spiegato al Corriere Antonino Gentile, portavoce e segretario generale dell’Unione lavoratori sanità, oltre che infermiere all’Asl Roma 3 di Ostia. "Con le prime 9.750 dosi- ha continuato- sono stati vaccinati esponenti delle diverse professioni sanitarie, dai medici agli ausiliari. E, a quanto ci risulta, l’adesione è, e sarà, alta da parte di tutte queste categorie".

Lo stesso Gentile ha ammesso che non si può pensare che il vaccino sia la soluzione a tutti i problemi ed ha ricordato che in Italia “mancano personale e posti letto. Servirebbero 60mila infermieri in più e anche operatori sanitari: negli ospedali e nei Pronto soccorso spesso i primi fanno anche il lavoro dei secondi, che mancano”.

La difficile situazione delle Rsa

Ma vi è anche un altro problema da affrontare. Su circa 40mila ospiti delle Rsa vi sarebbero almeno 10mila anziani che, seppur non per loro volontà, per ora resteranno senza vaccino. Queste persone, infatti, non sono in grado di intendere e volere e non hanno l’amministratore di sostegno nominato dal Tribunale. Non solo ospiti delle strutture. Perché molti lavoratori delle residenze per anziani non hanno aderito alle prime somministrazioni. A Brescia per il momento solo il 20% degli operatori delle Rsa ha deciso di farsi vaccinare. "Troppo poco, non capisco perché", ha ammesso il direttore dell’Ats locale, Claudio Sileo.

"L’assistenza è affidata agli operatori socio-sanitari e può capitare che ci sia un solo infermiere per più di cento ospiti", ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini degli infermieri (Fnopi). Per questo la Mangiacavalli ha spiegato che è stato chiesto "più volte al ministro della Salute di rivedere la qualità degli organici e anche i criteri di accreditamento delle Rsa private, ma per ora non ci sono state risposte concrete". Il presidente della Fnopi ha specificato che la scelta di non vaccinarsi può essere dovuta anche ad altri ragionamenti: "Per esempio alcuni colleghi infermieri che soffrono di patologie croniche, malattie rare o allergie si stanno confrontando con specialisti per capire quale dei vaccini già disponibili o in arrivo sia più adatto alla loro condizione di salute. La mancata adesione alle prime somministrazioni può essere dovuta anche a questi motivi".

La questione appare delicata soprattutto in considerazione che gli operatori socio-sanitari non devono rispondere a un codice deontologico e non rischiano richiami o sanzioni se hanno posizioni "no vax". In una intervista a "Il Messaggero" il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo, ha proposto che la vaccinazione diventi obbligatoria per medici, infermieri, personale sanitario e per chi lavora nelle Residenze sanitarie. "L'obbligo – ha specificato - deve valere non solo per chi assiste gli ospiti, ma pure per chi entra a fare le pulizie. Io andrei anche oltre. Penso a tutte le strutture pubbliche, alle scuole, a chi lavora a contatto con molte persone. La via maestra è quella del convincimento. Ma in un ospedale non ci devono essere tentennamenti: se vuoi lavorare, devi vaccinarti".

Si è solo all’inizio della

campagna di vaccinazione: potrebbe servire tempo ma le paure e le diffidenze possono essere superate. Se così sarà l’obiettivo dell’immunità di gregge potrebbe essere raggiunto senza necessitò di rendere obbligatorio il vaccino.

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